Le prospettive urbane
Ho cambiato tante case da allora a oggi ma non ce ne è stata una che non avesse una finestra,
uno straccio di cielo qualunque che si affacciasse sui tetti delle città dove ho abitato
e da dove ascoltavo, controllavo, cercavo i battiti del vostro cuore.
- Lucio Dalla, “12.000 lune” -
Giosue Carducci, ricordando “le strettezze, le taccagnerie, le ingratitudini e iniquità” che a lungo attanagliarono la vita di Ludovico Ariosto, sottolinea il contrasto tra le dimensioni della sua casetta di Ferrara (“ove la vista è imprigionata fra pochi metri di orto e di mura”) e “quanta e quale serenità di poesia si spandesse da tali confini”.
Niente di strano, avrebbe detto Giacomo Leopardi: per mettere al lavoro l’immaginazione, infatti, nulla è meglio di “una veduta ristretta e confinata”. Solo di fronte a “quello che non vede”, solo davanti a ciò “che quell’albero, quella siepe, quella torre gli nasconde”, l’anima “va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe se la sua vista si estendesse da per tutto”.
Dev’essere davvero così, perché dal giorno di San Michele del 1529, quando prende possesso della sua dimora in Contrada del Mirasole, Ludovico può far viaggiare finalmente libera la sua fantasia, dopo anni di viaggi pericolosi e pesanti incombenze di lavoro: tanto che nei tre anni successivi riesce a ultimare la terza e ultima edizione del suo Orlando furioso.
“Piccola ma adatta a me” dice ancora oggi l’iscrizione in latino sulla facciata della casa, che anche inglobata dalla città moderna mantiene l’aspetto di rifugio appartato, con i suoi rossi mattoncini a vista e l’ombra fresca del giardino. Chi avrebbe mai detto che, proprio tra queste mura così tranquille abbiano preso corpo, sopra le pagine, tante battaglie sanguinose, tanti innamoramenti folli, tante sfide tra cavalieri, mostri, fate e maghi?
Il paesaggio urbano delle città di provincia, soprattutto quello dei centri storici, sembra creato apposta per ammorbidire i contrasti e attutire i rumori, dando a volte l’impressione di trovarsi in un nido. Una piacevole sensazione di sicurezza, almeno finché non viene il momento di uscirne, per “nascere” a nuova vita. Come succede a Renato Serra con la sua Cesena.
Lo scrittore non ha mai lasciato a lungo la sua città e la sua casa. Il distacco vero coincide con la scelta di partire per la prima guerra mondiale, come si legge nel suo Esame di coscienza di un letterato, dove il racconto di questa scelta cruciale è cadenzato da un percorso a piedi che lo porta fuori dalle mura urbane. Dopo le pagine iniziali, in cui rifiuta la guerra e ne dichiara l’inutilità, Serra decide di accettare comunque il proprio destino, unendolo a quello della sua generazione: “Sono libero e vuoto, alla fine. Un passo dietro l’altro, su per la rampata di ciottoli vecchi e lisci, con un muro alla fine e una porta aperta sul cielo; e di là il mondo”.
L’uscita da Porta Montanara coincide così con la decisione, tanto che il peso dei dubbi affrontati sembra ormai alle spalle: proprio “come le casette della mia cittadina, raccolte laggiù in una immobilità di pietra tagliata a secco, senza toni e senza intervalli: muri pallidi e campanili invecchiati; e tutto così piccolo, così fermo! È lontana; non è più mia”. Partito nell’aprile del 1915 per animare di passione la sua vita, il tenente di fanteria Serra Renato muore sul Podgora tre mesi dopo. Oggi, nella sua casa, l’uniforme che indossava quando venne colpito sembra raccontare ancora la storia di un’immane tragedia collettiva.
Proseguendo sulla Via Emilia, un legame altrettanto concreto tra paesaggio e interiorità si può ritrovare nella vicenda artistica di Carlo Zauli. Iscrittosi nel 1937 al Regio Istituto d’arte per la ceramica di Faenza, anche lui è costretto da una guerra ad abbandonare la propria città: deportato in Germania nel ’44, non poteva certo immaginare che trent’anni dopo, divenuto artista di fama internazionale, avrebbe inaugurato una mostra personale in quello stesso paese.
Dopo gli inizi nel solco della tradizione, Zauli ha esplorato la via della scultura, facendo dialogare, all’interno delle sue opere, due voci che il progresso tecnologico ha voluto sempre più separate: la voce della forma e quella della materia. Come nelle “Zolle” e nelle “Arate” che si possono vedere nella casa museo allestita nel suo primo laboratorio faentino: realizzate in grès nel corso degli anni Settanta, esprimono la distanza sempre più marcata tra il paesaggio di città e quello di campagna, ma anche la necessità vitale di mantenerli legati.
Cercare di recuperare questo rapporto è stato uno dei mantra interiori di Cesare Leonardi, l’“architetto degli alberi”. La fascinazione per le chiome verdi nasce durante gli studi universitari, quando, grazie a una ricerca fotografica in giro per il mondo, si rende conto che, a seconda della latitudine e del clima in cui viene inserita, ogni specie arborea sviluppa caratteristiche diverse, e che, studiando le ombre di ogni albero nel corso della giornata, si possono progettare percorsi differenti. Conoscenze che torneranno preziose proprio negli anni Settanta, quando a Modena, con la collega Franca Stagi, è chiamato a progettare due grandi parchi urbani.
Gli alberi, per Leonardi, non sono “verdura” da inserire a caso nel tessuto di una città: con le loro metamorfosi, dentro l’uniformità del cemento, sono i migliori testimoni del tempo che scorre anche senza orologi. Di qui l’attenzione alla scelta delle essenze e al loro posizionamento all’interno del parco, là dove “si ricercano i valori perduti nella città costruita: la terra, l’acqua, il vento libero, l’erba, l’ombra di un cielo di foglie”.
Dal Villaggio Artigiano Modena Ovest, dov’è la casa-studio di Leonardi, alla casa-archivio dell’artista Angelo Davoli, appena fuori dal centro di Reggio Emilia, i chilometri sono meno di trenta. Ma a ridurre la distanza ancora di più è l’eredità di pensiero lasciata da entrambi: se uno ha disegnato luoghi reali per migliorare l’incontro tra uomo e natura, l’altro ha dipinto luoghi ideali in cui immaginare un incontro ideale tra uomo e tecnologia. Cambiano i testimoni (da una parte gli alberi, dall’altra le ciminiere) ma resta il sogno di un equilibrio possibile.
Nel dipingere le sue scene industriali, Angelo Davoli riduce il campo visivo alle dimensioni del dettaglio fotografico, perché è questa la prospetttiva dell’uomo di oggi sul paesaggio: uno sguardo “spesso ridotto e inscritto nelle geometrie di un monitor o da palazzi che ne delimitano lo spazio visivo”. Per lui, del resto, anche “il cielo che ci è dato di vedere non è più il cielo dei paesaggi di Lorrain o di Constable, ma è frammenti di azzurro: sono fotogrammi”.
“La terra finisce e là comincia il cielo...”: anche nelle canzoni di Lucio Dalla la vita è quasi sempre una questione di sguardi. Chi ha incrociato il cammino del cantante e musicista di Bologna, sa bene che la sua fonte di ispirazione ideale erano le strade cittadine: diceva che gli bastava camminare tra i palazzi, accostarsi a un portone o guardare il panorama dall’alto, e da lì immaginare quello che succedeva dentro quei pianeti abitati.“Ricordo” - ha scritto - “che passavo ore e ore affacciato a quello squarcio di cielo che era la finestra di casa mia nel centro della città”: “è da lì che sono cadute parole, pietre, storie e suoni lontani”.
Le stanze in cui Dalla ha vissuto, con i suoi oggetti e le sue immagini-guida, si trovano poco lontano dalle “panchine”, dai gatti e dagli innamorati della sua “Piazza Grande”. Oggi, dalla finestra da cui scrutava il mondo, si può vedere la silhouette di lui che suona il sax e ci sussurra che la ricerca non è finita, perché in città ci sono ancora strade da percorrere: “Ah... felicità! / Su quale treno della notte viaggerai? / Lo so, che passerai! / Ma come sempre in fretta: / non ti fermi mai”.
Per ascoltare il podcast audio dedicato:
“Case e studi delle persone illustri. Viaggio dentro ai paesaggi culturali dell’Emilia-Romagna: le prospettive urbane”
Per approfondire:
> Libro-guida:
“Case e studi delle persone illustri dell’Emilia-Romagna” (Bologna University Press)
> PatER - Catalogo del Patrimonio culturale regionale:
“Case e studi delle persone illustri dell’Emilia-Romagna” / LE PROSPETTIVE URBANE
Per continuare il viaggio nei paesaggi culturali dell'Emilia-Romagna:
> La linea del mare
> Le terre basse
> Le terre alte