A ruota orizzontale o verticale, i mulini ad acqua si distinguono per le forme architettoniche di tipo rurale, perfettamente inserite nel contesto insediativo della campagna emiliana ed in linea con le funzioni produttive, a cui sono destinate. Hanno segnato una tappa fondamentale nella storia dell’architettura e della tecnica, ed in particolare nella vita e nelle esigenze quotidiane degli emiliani. La macinazione non è altro che il “lento” girare, continuo e costante nel tempo, della ruota mossa dallo scorrere dell’acqua, che per secoli ha scandito il passare delle ore, delle giornate, delle stagioni, attraverso l’incessante movimento di quegli ingranaggi, che azionano le macine.  

Nel territorio emiliano, i mulini storici rappresentano una costante, che caratterizza il paesaggio di collina, di pianura e delle valli tra Piacenza e Bologna, e si distinguono per le loro forme e funzioni produttive in relazione al contesto ambientale, che li circonda. Alcuni di questi opifici sono ancora in funzione, altri sono stati, nel tempo, modificati o trasformati a funzioni diverse, mentre la maggior parte non è più in uso, oppure svolge l’attività di macinazione solo a scopo dimostrativo, per visite turistiche o laboratori didattici. Tanti sono in stato di rudere o non più riconoscibili nelle loro forme e tipologie originarie, molti altri, infine, sono definitivamente scomparsi e presenti solo come toponimo nella Carta Idrografica d’Italia, nella cartografia dell’Istituto Geografico Militare o nella Carta Tecnica Regionale. Inoltre, la configurazione morfologica del territorio, dal contesto montano o collinare, fino al contesto di pianura, ha determinato la distribuzione geografica delle diverse tipologie di mulini.  

Per trattare l'argomento occorre volgere lo sguardo al passato, partendo dalle origini della molitura. 

Si praticava già nei tempi antichi, quando il grano veniva pestato tramite alcuni utensili, come il “mortaio”, formato da un “pestello” e da un contenitore concavo di pietra o di legno robusto dove il grano veniva frantumato, o la “pietra a sella” che si componeva di una parte inferiore in pietra lievemente concava, e di una superiore costituita da uno strumento di forma cilindrica, come si può vedere tra le mani di alcune statuette di donne egiziane inginocchiate. 

Nel tempo, gli antichi greci hanno migliorato notevolmente il loro sistema di macinazione passando dalla macina manuale a “clessidra” all’utilizzo dei primi mulini ad acqua a ruota orizzontale, di cui gli archeologi hanno rinvenuto tracce in diversi scavi, datati a diversi secoli prima di Cristo. 

I romani utilizzavano, come forza motrice, la forza umana degli schiavi o quella animale, e i mulini lavoravano a più coppie di palmenti mossi, sempre da schiavi, per produrre più farina ogni giorno. Ma, ben presto, l'acqua è divenuta una forza motrice essenziale e sono nati, così, i primi mulini idraulici a ruota verticale, detti Vitruviani

L’innovazione tecnologica ha avuto un impatto significativo sull'organizzazione sociale e sulla specializzazione artigianale, portando alla nascita della corporazione dei mugnai. Con il passare del tempo, il mugnaio è divenuto una figura sempre più importante e riconosciuta, tanto da essere considerato un componente della società rurale e borghese al pari dell'albergatore e del mercante di bestiame. Il mulino ad acqua, con il suo ingegnoso meccanismo della ruota idraulica e delle macine piane, ha sostituito il più semplice mulino mosso da schiavi o animali, rendendo progressivamente il mugnaio un imprenditore privato. 

In epoca medievale, l'importanza di questa nuova invenzione tecnica era ben compresa, ma la molitura a mano, a forza di braccia, non era stata completamente soppiantata, in quanto la costruzione di un impianto idraulico di molitura efficiente, soprattutto in aree prive di corsi d’acqua, era un'impresa impegnativa e costosa, oltre che possibile per poche classi sociali che controllavano un vasto territorio. 

Il mulino ad acqua maggiormente diffuso nel territorio emiliano è a ruota orizzontale o a “ritrecine”.  

La costruzione si sviluppa su due piani sfruttando i dislivelli naturali del suolo: il piano terra ospita le macine, mentre il piano interrato le ruote orizzontali, dalle due alle quattro per ogni mulino, collegate alle macine da un unico asse verticale e mosse dall’acqua che, derivata dal canale, passa per la doccia e cade nella concavità dei catini. 

È il tipo più semplice dotato di un albero verticale in legno a tronco di cono, alla cui estremità inferiore sono inserite piccole pale a “cucchiaio” o “catino”, a forma di quarto di sfera, mentre all’estremità superiore è ancorato un albero verticale detto palo. 

Le macine sono sovrapposte ad una distanza di due o tre millimetri l’una dall’altra. Quella inferiore detta “dormiente” è fissa ed ha un foro nel centro attraversato dal palo, che sostiene con una traversa in ferro detta “nadicchia” e fa girare la macina superiore detta “corritoia”. Dal foro centrale della macina superiore, detto “occhio”, passa il grano che cade dalla tramoggia, per essere macinato fra le mole e scivolare poi verso l’esterno. 

Questo tipo di impianto molitorio è diffuso soprattutto nelle zone montane o collinari, lungo torrenti e canali minori in quanto funziona con portate d’acqua non abbondanti ed è preferito per il basso costo di realizzazione dell’impianto e del suo mantenimento. Un esempio è il Mulino di Corchia a Berceto, che abbandonato da tempo, sorge sulla sponda sinistra del torrente Manubiola. L’impianto azionava due coppie di macine per frumento e castagne. 

Nel mulino a ruota verticale, la ruota, posta verticalmente sul fianco esterno della struttura, è collegata da un albero orizzontale in legno ad un sistema di ingranaggi, formato da ruote dentate, il quale aziona il palo verticale che fa girare la macina superiore. Nella ruota verticale, a differenza di quella orizzontale, la spinta può essere esercitata in diversi punti: nella “ruota per di sotto” le pale, raggiunta la quota più bassa, vengono trascinate dall’acqua per effetto cinetico; nella “ruota per di fianco” l’acqua, convogliata parallelamente alle pale, agisce sia per il suo peso, che per la velocità con cui colpisce le pale; la “ruota per di sopra” sfrutta il peso dell’acqua fatta cadere da una doccia posta al di sopra della stessa. Le pale sono a forma di cassetta, mentre le ruote verticali inizialmente in legno con inserti in ferro, nel tempo sono state sostituite con altre interamente in ferro. 

La ruota idraulica verticale è fissata ad un albero orizzontale cilindrico, al quale, nel lato opposto, sono fissati un numero di “lubecchi” uguale a quello delle macine da azionare. I lubecchi sono delle ruote a corona in legno duro, con denti orientati radialmente che si inseriscono nelle scanalature del “rocchetto”, una ruota dentata a forma di gabbia cilindrica formata da due dischi di legno collegati da cilindretti in legno verticali. Ogni rocchetto è attraversato verticalmente da un albero di trasmissione che, volgendo verso l’alto, imprime il movimento rotatorio alla macina superiore. Ogni ruota idraulica può muovere un numero di palmenti variabili da due a tre. Nel locale di lavorazione si trovano due o tre coppie di macine, disposte in parallelo e diversificate per dimensioni e composizione della pietra. 

Gli impianti a ruota verticale sono tecnologicamente più complessi ed articolati, con fabbricati di grandi dimensioni, e potevano presentare una caratteristica planimetria a scaletta. Sono maggiormente diffusi in ambito pedecollinare o in pianura, dove le portate d’acqua possono essere maggiori. In alcuni casi si trovano i mulini in serie, ossia organizzati a cascata lungo lo stesso corso d’acqua con eventuale utilizzo dello stesso canale adduttore. 

Il fabbricato del mulino è diviso in vani, nei quali vengono eseguite le varie operazioni di macinazione: uno spazio per la vagliatura e pesatura del grano, un deposito per i grani da macinare, una zona per il grano che alimenta la tramoggia, un’area occupata dai palmenti, un locale per conservare la farina, e un’area per i meccanismi.  

Nella definizione degli spazi architettonici, l’abitazione del mugnaio viene aggregata all’opificio nel caso di mulini molto piccoli con pochi palmenti, quando invece il mulino è di grosse dimensioni può essere separato. Qui lo spazio maggiore è occupato dai palmenti e lo stesso deve essere adeguato al numero delle persone addette alla macinazione, senza che queste abbiano ostacoli od intralci durante le fasi di lavorazione.  

Nel territorio emiliano questi nuclei insediativi o singoli edifici li scopriamo lungo corsi d’acqua, che oggi rivestono un particolare interesse, in quanto divenuti vie e percorsi di valore paesaggistico di cui ricordiamo alcuni esempi significativi. Nella provincia piacentina, “La Strada dei Mulini” è uno dei cammini più suggestivi, con un tracciato che interessa parte del territorio della media ed alta Val Tidone, dove troviamo alcuni importanti mulini, tra cui il Vai e il Lentino. Anche nella provincia modenese, lungo i corsi d’acqua di Montese, vi erano 37 mulini, tra i quali il Mulino della Riva, il Mulino della Coveraie e il Mulino di Mamino. E ancora, nella provincia bolognese, lungo la Valle del Savena, fra le due guerre, funzionavano 36 mulini ad acqua: dal Mulino di Ca’ di Mengoni, al Mulino del Paleotto. In tutto ne sono stati individuati 42, dei quali molti sono scomparsi, ma quelli che restano sono visibili risalendo il corso del fiume che lambisce la periferia sud di Bologna.  

Nell’ambito d’indagine, che interessa le province di Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena e Bologna, le valli del Tidone, dell’Enza, del Secchia, del Panaro, del Samoggia e del Reno, sono stati individuati ben oltre 1450 mulini da tempo scomparsi, esistenti, funzionanti o non più funzionanti. Tale indagine non è esaustiva, e molti altri potrebbero essere i mulini ancora presenti, non ancora individuati, o di cui il toponimo è rimasto ignorato dalle indagini che si sono succedute nel tempo.  

Questa ricognizione è stata possibile grazie alle campagne di rilevazione condotte dall'istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna, svolte a suo tempo in collaborazione con le amministrazioni provinciali o comunali, dall'inizio degli anni ‘80 alla fine degli anni ‘90, e che tutte insieme confluiscono nell'apparato bibliografico consultato, insieme ad un’ampia bibliografia di volumi specifici sui mulini della provincia di Modena, dell'appennino modenese e della valle dell’Enza.  

Importante è il contributo che deriva dalla sitografia in tema di mulini storici, come il sito web dell’Associazione Italiana Amici dei Mulini Storici, oppure “4000 luoghi” della provincia di Reggio Emilia che ripropone una traduzione in chiave moderna dei Dossier IBC degli anni ‘80 e ‘90, oppure i censimenti del CAI Parma per l'appennino parmense, il sito web “Acqua Passata” per gli opifici situati tra il Reno ed il Panaro, oppure, ancora, “I mulini della provincia di Piacenza”. Infine, altre fonti sono state consultate, tesi di laurea, la rivista “Nelle Valli bolognesi”, altri contributi online come “Andar per mulini nella Valle del Savena” ed altre fonti utili all'individuazione di informazioni interessanti per il territorio emiliano. 

 

Beatrice Celli 
Architetto, Specialista in Recupero Architettonico e Dottore di Ricerca in Architettura, settore scientifico disciplinare ICAR/14 - Composizione Architettonica e Urbana con una tesi dal titolo Architettura rurale nella pianura modenese. L’origine della forma e lo studio della composizione, e Specialista in Recupero Architettonico.  
Da anni studia le forme e i tipi dell’architettura rurale, analizzandone gli aspetti compositivi e le componenti paesaggistiche, ed approfondendo lo stretto legame, che intercorre tra le vie d'acqua e gli insediamenti rurali. Ha pubblicato alcuni saggi sui temi sull'architettura rurale e delle vie d'acqua. 
Svolge la propria attività professionale nell’ambito della tutela dei beni architettonici e culturali. È funzionario presso il Settore Patrimonio culturale della Regione Emilia-Romagna dove si occupa dei finanziamenti PNRR per interventi di valorizzazione dell'architettura e del paesaggio rurale, dei contributi regionali per interventi di recupero e restauro del patrimonio storico architettonico, e della creazione di un catalogo regionale dei mulini storici.