Censimento degli archivi degli editori emiliano-romagnoli
Nel 1999 la Soprintendenza per i beni librari e documentari della Regione Emilia-Romagna accolse con favore il coinvolgimento in un progetto di ampio respiro inerente il mondo dell’editoria, che si riproponeva, sulla base dell’esperienza lombarda, di estendere alle altre regioni italiane un censimento degli archivi editoriali. La Regione Lombardia aveva infatti avviato tale iniziativa due anni prima, incaricando della ricognizione la Fondazione Mondadori supportata dalla consulenza della Direzione Generale degli Archivi. I positivi risultati indussero poi il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e l’Associazione Italiana Editori (AIE) ad adoperarsi per promuovere tale attività su tutto il territorio nazionale.
L’Emilia-Romagna fu tra le prime regioni ad avviare un analogo censimento sul proprio territorio, insieme a Toscana, Lazio e Campania: operativamente il censimento si articolava in due fasi, con un primo contatto tramite l’invio di un questionario da compilarsi a cura dell’editore, seguito da ricognizioni in loco da parte di archivisti esperti sulla base di una scheda maggiormente dettagliata. L’AIE assunse il patrocinio complessivo del progetto e si occupò direttamente della diffusione dell’iniziativa al resto del territorio italiano, utilizzando un questionario semplificato compilabile on-line. L’obiettivo era quello di costituire una banca dati comune sui patrimoni documentari e librari delle case editrici italiane, grazie ad una indagine ricognitiva fondamentale per le successive strategie di intervento nel settore, e di diffondere tra gli editori una maggiore sensibilità verso le problematiche della conservazione e valorizzazione degli archivi delle loro aziende.
Il censimento emiliano-romagnolo fu avviato nel settembre 1999, inviando il questionario (60.16 KB) a 220 editori risultanti in quel momento in attività, senza alcuna distinzione tipologica, affinché l’indagine fosse condotta su un campione il più vasto possibile. Soltanto il 15% delle case editrici contattate restituì il questionario compilato, motivo per cui l’iniziativa fu rilanciata nel 2002 spostando il focus sugli archivi storici. Non fu pertanto allargata la base censita, valutando che aziende appena formate non avrebbero in linea di massima posseduto documentazione storica, mentre si approfondirono per quanto possibile le informazioni sugli archivi delle case editrici cessate, in liquidazione o sottoposte a incorporazioni e/o fusioni, essendo la documentazione in tali situazioni ad alto rischio di dispersione. Questa seconda fase ricognitiva si concluse nel febbraio 2003, con il riscontro da parte di circa la metà degli editori contattati (58,63%), di cui 49 erano case editrici fondate prima del 1980.
Dai questionari restituiti sono emerse alcune macrotendenze nella gestione da parte degli editori dei loro archivi e biblioteche storiche, elementi utili alla programmazione di futuri progetti di inventariazione, valorizzazione e digitalizzazione di tale patrimonio. In particolare:
- la prassi diffusa di conservare soprattutto la documentazione amministrativo-contabile, la documentazione iconografica e l’archivio fotografico, oltre talora ai carteggi con gli autori, mentre altri materiali, come ad esempio carteggi con editori, dattiloscritti, bozze, sono presenti solo sporadicamente;
- una spiccata attenzione alla biblioteca storica, conservata presso quasi l’80% degli editori, e la presenza di una biblioteca specializzata, di cui circa un editore su tre si è dotato;
- dal punto di vista logistico, infine, archivio e biblioteca storica risultano di norma collocati presso la sede legale, solitamente accessibili per un pubblico esterno non tramite servizi dedicati ma su appuntamento.