Mulini storici: uno sguardo su conservazione, macinazione e alternative opportunità di utilizzo
Anna-Maria Guccini, Vicepresidente A.I.A.M.S.
Il mulino visto come microcosmo di attività e patrimonio complesso, insieme alle esigenze di gestione dei beni, sono i temi affrontati nell’intervento che tocca temi di attualità per tali manufatti.
Il continuare a ricordare e a condividere aspetti della storia permette di mantenere vivi soggetti e contenuti che, anche se lontani dal nostro tempo, possono continuare a coinvolgere e ad appassionare.
Questo, è senza dubbio il caso del mulino, che oggi, finalmente, non è solo presente nel ricordo personale o collettivo, ma è diventato soggetto, anche se in modo un po’ tardivo, di riflessioni e ricerca su possibili forme concrete di un recupero finalizzato alla conservazione architettonica, a quella del sistema delle macchine e dei canali che ne permettono il funzionamento e alla conoscenza del macinare.
Il mulino è una macchina che, vista all'interno della costruzione in cui è collocata, diventa opificio, ma per la storia che racchiude, è anche un luogo, perché essendo stato per secoli legato alla vita dell'uomo, ne racconta e rappresenta la storia evolutiva, sociale, economica, di rapporto con territorio, paesaggio e collegamenti, assieme a quella della vita di ogni giorno. Un grande patrimonio condiviso di una storia universale. Un bene da tutelare.
Una storia che non può non coinvolgere, perché è quella che ci appartiene e che raccontano e testimoniano, pur con ovvie peculiarità, le migliaia di mulini sparsi sul territorio italiano assieme alle ormai poche centinaia che, adagiati lungo fiumi, torrenti e fossi caratterizzano il territorio e il paesaggio e dell’Appennino dell’Emilia-Romagna.
Il mulino è una macchina semplice per i meccanismi che la compongono e per le forze che la mettono in funzione, ma è anche una macchina complessa per l'insieme di relazioni tra i diversi elementi necessari a farla lavorare. Elementi che si caratterizzano per la necessità di un costante equilibrio tra loro, come quello tra le due macine, dove, quella di sopra in movimento, deve essere perfettamente distanziata da quella di sotto, immobile, o come il giusto dosaggio da raggiungere nel convogliare il corretto quantitativo di acqua sulla ruota, perché si possa ottenere la velocità ottimale nella macinazione. Alcuni elementi di un insieme, in cui tutto contribuisce alla qualità del macinato, e tra loro legati in modo indissolubile dal collante dell'arte del macinare.
Nel complesso di equilibri necessari al suo funzionamento, oggi, alcuni trovano difficoltà nel realizzarsi. Tra questi, la conciliazione tra le esigenze della conservazione e quelle dell’utilizzo. Naturalmente non mi rivolgo alle scelte, preziose della destinazione museale, sia localizzata che diffusa, o a quelle a fine didattico e turistico. I mulini ai quali mi riferisco, sono quelli quasi sempre mantenuti attivi dalla passione e dalla strenua volontà dei proprietari, e naturalmente, ai mulini che non hanno mai interrotto la macinazione, unisco quelli che, caduti in disuso come attività molitoria, ma ancora recuperabili nella loro funzione, non riescono a superare gli ostacoli di tipo burocratico e normativo da affrontare, per raggiungere lo scopo di ritornare a funzionare. Perché questo sia possibile è indispensabile che i diversi enti e istituzioni che sovrintendono sia agli aspetti del recupero architettonico sia a quelli della gestione del lavoro, inizino a dialogare, e a trovare un equilibrio legislativo e normativo sulle diverse richieste che avanzano, e che non di rado si contrappongono diventando spesso insormontabili.
La situazione che ha portato al formarsi dei problemi legati all’esercizio della macinatura, ha come causa iniziale il diffuso abbandono della coltivazione della terra in molte zone collinari e montane, negli anni del boom economico. Una delle conseguenze più immediate, fu che le concessioni di derivazione dell’acqua, non più utilizzate, non furono rinnovate. Un fatto che, tra i problemi che avrebbe generato, in particolare alle macchine in legno e ferro fece saltare l’equilibro creatosi durante tutto il tempo che erano state a contatto con l’acqua, dando inizio al loro deterioramento. La seconda fu, che le licenze di macinazione non furono più mantenute. Due situazioni che, con le caratteristiche delle richieste attuali per ottenerle entrambe, rappresentano i principali problemi da affrontare per chi desidera iniziare o riprendere la macinazione.
La consistente riduzione dei mulini in attività, fin quasi alla loro sparizione, fu uno dei motivi per cui i pochi mugnai che continuarono a macinare, negli anni si ritrovarono a gestire un’attività che si era trasformata in una sorta di forma ibrida, caratterizzata dall’anomalia di essere normativamente paragonati ai nuovi mulini industriali senza averne i caratteri produttivi, e, contemporaneamente, di non essere considerati beni storici nella complessità della loro articolazione pur avendone di solito le caratteristiche.
Una situazione che ha fatto sì che un’attività artigianale, con una produttività limitata come quella dei mulini ad acqua, sotto aspetti fiscali, assicurativi, previdenziali e oneri per la concessione di derivazione, fosse di fatto equiparata a una di tipo industriale, rendendo il mantenimento dell’attività troppo onerosa in rapporto ai guadagni.
Riguardo all’aspetto della tutela, quando negli strumenti urbanistici comunali s’iniziò a inserire i beni architettonici storici, talvolta furono compresi anche gli edifici dei mulini. Ma ciò che era tutelato era solo l’edificio, che nel caso di un intervento che poteva spaziare dal ripristino tipologico al restauro scientifico doveva, ovviamente, seguire norme di tipo conservativo. Di solito però, nulla che riguardasse il sistema delle macchine. Tantomeno la macinazione.
Negli anni, la sensibilità nel guardare al mulino come bene culturale complesso, fortunatamente è andata crescendo, ma di pari passo non è stata accompagnata dall’evoluzione normativa che lo riguarda e che permetterebbe un eventuale completo recupero con l’attività molitoria.
Fu dall’inizio degli anni Duemila che diverse regioni come Marche, Sicilia, Emilia-Romagna e Abruzzo e Umbria iniziarono a produrre normative e decreti che riconoscevano i mulini come “espressione della storia, culturale, economica e sociale” che rappresentavano.
Alcune regioni, come l’Abruzzo, stanziarono anche “Contributi per il recupero e la valorizzazione dei mulini idraulici” come “beni culturali primari”, finanziando i lavori destinati alla “realizzazione di strutture e di impianti per lo svolgimento delle attività tipiche dei mulini idraulici”.
L’Abruzzo e l’Umbria furono tra i primi a considerare mulino e macinazione come due aspetti di un unico bene, e l’Umbria lo fece considerando il recupero di un mulino nella complessità degli elementi che lo compongono come “canalizzazioni, sistemi idraulici dei macchinari e strumenti per il funzionamento”, ma l’aspetto innovativo fu l’indicazione del “ripristino della loro funzionalità, finalizzata a produzioni molitorie di qualità.”
Il mulino era finalmente visto non più come un soggetto puntuale ma come un microcosmo di relazioni in cui era compresa finalmente, anche la macinazione.
Chi conserva o riattiva un mulino nella sua completezza, di solito con consistenti difficoltà, conserva un bene culturale per tutti e di tutti.
Il mulino si può raccontare e illustrare, ma sicuramente la narrazione sarà più completa, comprensibile e coinvolgente se esso stesso potrà raccontarsi attraverso aspetti e momenti che costituiscono l’attività per la quale è stato realizzato. Quando vi siano presenti le condizioni, considerare mulino e macinazione un unicum di cultura materiale e immateriale, è l’ottica su cui è necessario lavorare per raggiungere una normativa ad oc, dove norme tecniche, fiscali, previdenziali, di tutela della salute e del lavoro, prima che sia troppo tardi, dialoghino, finalmente, tra loro.
Questo, per me e per AIAMS, è un obiettivo a cui ambire. E, come associazione, ci auguriamo di poter condividere il percorso per il suo raggiungimento con chi, rappresentando enti, istituzioni e associazioni di categoria, capirà che ormai, se si crede veramente nell’importanza dei mulini e di ciò che rappresentano, non si può più rimandare la decisione di un lavoro condiviso.
Anna-Maria Guccini
Direttrice dell’Archivio dell’architetto Giuseppe Mengoni, studiosa dell’architettura rurale e delle emergenze architettoniche e paesaggistiche dell’Appennino Tosco-Emiliano e della pianura bolognese. Un interesse che ha reso concreto anche attraverso numerose collaborazioni con l’Istituto beni Culturali della Regione Emilia-Romagna, la Provincia di Bologna e diversi comuni, attraverso lavori di ricerca storica, rilievo sul campo, pubblicazioni, cura di mostre e campagne fotografiche.
È socio fondatore dell’Associazione Italiana Amici dei Mulini Storici della quale è vicepresidente. È ideatrice e curatrice della collana “Le ruote dei mulini” nella quale A.I.A.M.S. pubblica gli atti dei convegni che realizza. È inoltre ideatrice e responsabile del concorso fotografico dell’associazione.
Vive nel mulino di famiglia, un luogo che ha visto passare generazioni di mugnai, dai quali ha ereditato, insieme al fratello, il senso di appartenenza al mulino e dell’attività che esso svolge. Per questo motivo, e per mantenerlo vivo, assieme alle manutenzioni di primaria necessità ha imparato anche a macinare.