In alta Valle Brembana, un caso esemplare di riscoperta, protezione e restauro di un mulino del XVII secolo, aperto alla fruizione pubblica grazie al sostegno del FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano).

Ho avuto la fortuna di essere funzionario architetto per le valli bergamasche quando, agli inizi degli anni Duemila, in soprintendenza arrivò la proposta di sottoporre a tutela, ai sensi dell’allora vigente Decreto Legislativo n. 490/99 Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali (poi confluito nell’attuale Codice dei beni culturali e del paesaggio, Decreto Legislativo n. 42/2004), un piccolo edificio rurale di antico impianto (XVII secolo), situato in alta valle Brembana, contenente un mulino per farine e un torchio a vite per ricavare olio dalle noci. Per noi tecnici ministeriali, abituati ad avere a che fare con castelli, ville, palazzi, chiese, insomma, con “monumenti aulici”, apparve da subito curiosa ed intrigante la proposta. Essa ci arrivava da un appassionato di storia locale, il maestro Antonio Tarenghi, persona semplice, umile, ma molto profonda e scientificamente attendibile. Egli fece da tramite con la famiglia Gervasoni che da secoli era proprietaria del piccolo edificio, avendovi svolto le attività di macinatura, di spremitura, di casera, di forno per il pane e di fucina per la lavorazione del ferro battuto. Alla famiglia Gervasoni si deve il merito di aver conservato con cura questo piccolo, ma importantissimo tesoro, e di aver fatto in modo che venisse messo a disposizione della collettività, con il passaggio al FAI.

Ma andiamo con ordine.

Il primo sopralluogo, nel 2002, fu una fantastica sorpresa: sembrava di andare indietro nel tempo e di arrivare in un luogo magico, fiabesco, lontano dal mondo. In una splendida valletta immersa nel verde e solcata dal torrente Valsecca, dopo un breve percorso a piedi, si incontrava questo piccolo manufatto con muri in pietra e copertura in lastre di ardesia. Un semplice affresco sopra l’unico ingresso, rappresentante Madonna con Bambino, un vaso e un albero, ci accoglieva benaugurante con la data 1673.

Entrando, la sorpresa fu ancora più grande: sembrava di essere in un film stile “Albero degli zoccoli”. Ai miei occhi si presentava una sorta di microcosmo pensato per la sopravvivenza in montagna e per l’autosufficienza: mulino, torchio, casera, fucina sembravano essere stati congelati nel tempo, pronti a riprendere vita. Tutt’intorno vi erano ancora gli attrezzi per i vari mestieri che lì si erano svolti: falegname, fabbro, mugnaio, casaro. I meccanismi e le loro parti dovevano essere stati prodotti e riparati in loco: quando stai in montagna, ti devi arrangiare.

Dopo la raccolta e lo studio del materiale istruttorio (bibliografia, fotografie, rilievi, ecc.), completata la fase della conoscenza, si diede avvio al procedimento di tutela che si concluse con decreto della Soprintendenza Regionale Lombardia 19 dicembre 2002, a firma della direttrice arch. Carla Di Francesco. Credo sia stato, per la Soprintendenza di Milano, il primo decreto di tutela per un bene di interesse prevalentemente demo-etnoantropologico, categoria che era stata codificata solo nelle ultime versioni delle leggi in materia di beni culturali.

Immagine tratta dal provvedimento di tutela (Decreto Soprintendenza Regionale Lombardia 19 dicembre 2002)
L'edificio del mulino e torchio Gervasoni come si presenta dalla mulattiera che scende verso il torrente Valsecca

La relazione storico-artistica ne riporta una descrizione dettagliata:

Il lato orientale è caratterizzato dalla ruota lignea del mulino azionato con la forza motrice dell’acqua derivata dal vicino torrente tramite una canalizzazione che attraversa il prato circostante.
Il fronte settentrionale, verso monte, presenta un piccolo ambiente addossato che ospitava un focolare, come è possibile desumere dalle evidenti tracce di combustione.

Infine, sul lato occidentale è addossato un locale adibito a piccolo caseificio.
Le murature presentano una tessitura in bozze di pietra e ciottoli in buona parte ricoperta da intonaco di grassello di calce. Il tetto è sorretto da una struttura portante lignea ed è ricoperto da lastre d’ardesia. Nel suo interno sono conservati, straordinariamente completi di tutte le loro componenti ed attrezzature, un torchio per la spremitura delle noci ed un mulino per farine.
Entrambi, ancora funzionanti fino a pochi decenni fa, presentano parti datate: nel torchio, la grossa trave longitudinale che lo sorregge riporta incisa la data 1672 e la grossa pila in pietra sulla quale la suddetta trave appoggia ha a sua volta incisa la data 1783. La data 1672 è riportata anche sulla trave lignea che sostiene il mulino. La pavimentazione è in parte realizzata con macine di recupero.

Nel prato circostante, sono visibili pezzi di magli e di macine, tracce indiziali delle lavorazioni che si svolgevano nella zona”.

La stessa relazione si concludeva evidenziando che:

In definitiva, si tratta di un bene di impianto seicentesco (la presenza del torchio e del mulino è documentata sin dai primi anni del XVII secolo), di straordinario interesse non solo dal punto di vista della storia locale e delle tradizionali lavorazioni artigianali specifiche del luogo, ma anche della storia della cultura materiale ed antropologica in generale

Ma tutto ciò non bastava. L’edificio aveva bisogno di cure particolari: il tetto perdeva e un diffuso quadro fessurativo interessava le murature. La comunità non si perse d’animo e l’anno successivo (2003) votò in massa per il Mulino Gervasoni come “Luogo del Cuore” FAI.

Prima dei restauri FAI del 2006

Fu un successo tanto strepitoso quanto inatteso. Grazie ad una donazione di Intesa San Paolo, il FAI riuscì ad acquistarlo e ad avviare i necessari restauri, seguendo il progetto dell’arch. Leonardo Angelini di Bergamo (2004): ho avuto l’opportunità di seguire i lavori e conservo le fotografie scattate in cantiere durante i diversi sopralluoghi effettuati in quegli anni.

Dopo i restauri FAI del 2006

Nel 2006, conclusa la fase fondamentale della conservazione, si avviò quella della valorizzazione, ovvero della fruizione pubblica. La gestione venne affidata alla comunità locale, tramite l’Associazione Maurizio Gervasoni di Roncobello che ancora oggi garantisce calendari di aperture nei mesi più caldi, da maggio a ottobre.

I protagonisti: la famiglia Gervasoni (qui rappresentata da Giovanna Locatelli), Antonio Tarenghi e due rappresentanti del FAI

Credo si sia trattato di un caso fortunato in cui privati proprietari, studiosi, professionisti, istituzioni di tutela, mondo associazionistico e mondo finanziario hanno virtuosamente collaborato per restituire alla comunità un bene unico, dove gli elementi primari (acqua, fuoco, aria e terra) hanno da sempre garantito la sopravvivenza delle genti del posto.

Si è concluso il ciclo formalizzato giuridicamente nel Codice dei beni culturali e del paesaggio: conoscenza, tutela, conservazione e valorizzazione, per una piena attuazione del meraviglioso art. 9 della nostra Costituzione (La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura … tutela il paesaggio e il patrimonio storico-artistico della Nazione). Se non siete ancora stati, vi consiglio di fare una visita: la bellezza del posto vi ripagherà del viaggio.

Riferimenti bibliografici

Emanuela Carpani (a cura di), L’antico mulino, con torchio, di Roncobello (BG), in «Acta Museorum Italicorum Agriculturae», n. 19-20 (2000-2003), pp. 40-59 (in collaborazione con Antonio Tarenghi e Giuseppe Pesenti);

Giuseppe Pesenti, Note storiche sul torchio e mulino di Baresi, contrada Oro-Dentro, in Club Alpino Italiano — Alta Valle Brembana — Sezione di Piazza Brembana, Annuario 1999, Ferrari Edizioni, s.1., s.d., pp. 79-80;

Antonio Tarenghi, Ricerca storica sul torchio e mulino di Baresi, contrada Oro-Dentro, in Club Alpino Italiano — Alta Valle Brembana — Sezione di Piazza Brembana, Annuario 1999, Ferrari Edizioni, s.l., s.d., p. 78;

Marco Tizzoni, Il comprensorio minerario e metallurgico delle valli Brembana, Torta e Averara dal XV al XVII secolo, Bergamo 1997.

Emanuela Carpani
È attualmente Soprintendente Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Milano, Ministero della Cultura. Ha ricoperto numerose cariche come Soprintendente presso la Città Metropolitana di Torino, Venezia e laguna, Padova, Siena e Grosseto. È inoltre stata Architetto Direttore coordinatore presso la Direzione Regionale per i Beni culturali e paesaggistici della Lombardia per il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali.
È stata recentemente Vice-presidente del Comitato Tecnico Scientifico Belle Arti e componente del Consiglio Superiore Beni Culturali e Paesaggistici, organi consultivi del Ministero della Cultura.
Ha svolto attività di ricerca come Ricercatrice di ruolo presso il Politecnico di Milano e docente a contratto e ha partecipato a varie ricerche accademiche, realizzando attività didattiche e laboratoriali presso vari istituti, tra cui l’Istituto Superiore di Design ed Architettura di Milano e Master Universitari in progettazione e tutela del paesaggio.
Ha curato numerose pubblicazioni nel corso della carriera, tra cui recentemente: “Un libro per il patrimonio culturale di Milano e del suo territorio, nel segno di Leonardo”, in L. Tomio, La grande Milano di Leonardo. Arte, ingegneria, architettura, urbanistica, Città Metropolitana di Milano, Milano 2023 e “L’antico mulino, con torchio, di Roncobello, Bergamo. Un bene culturale da tutelare”, con Antonio Tarenghi, Giuseppe Pesenti a cura di Emanuela Carpani, in «Acta Museorum Italicorum Agriculturae», n. 19-20 (2000-2003).
Di formazione, oltre alla laurea in Architettura, ha conseguito il Dottorato di ricerca in Conservazione dei Beni architettonici e la Specializzazione in Restauro dei Monumenti.