Il Giardino degli Incontri

racconto di Eva Flamigni

Il Giardino che ho in mente non è mai solo e non sta mai tranquillo: ci sono bambini che corrono e si rotolano giù dalla collinetta rialzandosi profumati di arrosto e uccellini che cantano e signore che chiacchierano mentre fanno l’uncinetto.
E’ un giardino immaginario ma è anche un po’ reale: ci sono all’ingresso fiori che ballano ad ogni soffio di vento e il lillà di quando ero giovane e una rosa rampicante; ci sono le panchine e un bel sentiero pianeggiante, sicuro e senza incroci perché nessuno abbia paura di perdersi.
Nel giardino che ho in mente io e i miei amici sediamo sotto al platano a guardare le viti che hanno piantato (che vigna non si può chiamare) ma ci sembra di tornare a potare come quando eravamo giovani e guardiamo quel ramo in più che non dovrebbe esserci e la legatura che se potevo alzarmi la facevo meglio di sicuro.
Nel giardino che ho in mente e che vedo dalla finestra del quarto piano c’è una piazza contornata di panchine rosse che guardano alla cascatella d’acqua che pare lì per giocare a spruzzarsi, ci sono gli alberi da frutto di quelli di una volta che fanno le mandorle, le nespole e le mele cotogne.
Nel giardino che ho in mente c’è una tettoia dove si potrebbe giocare a carte; quello c’era già quando sono arrivato qui e prima che ci fosse il giardino, era lì in mezzo a un prato stentato con due sedie rotte, poi sono arrivati prima l’architetto poi le ruspe e i muratori e poi i giardinieri che ci hanno messo tutti quei colori e le panchine e ci facevamo le feste d’estate con il gelato.
Il giardino che ho in mente era aperto a tutti e ci potevi sempre fare un giro e incontrare anche la gente di fuori, qualcuno che leggeva il giornale o voleva sedersi un po’ scegliendo ogni giorno una stagione diversa, o un compagno di qui che passeggia con i figli venuti a trovarlo.
Nel giardino che ho in mente ci venivano i bambini con il pulmino quello giallo, e arrivavano con gli stivali di gomma nei piedi, le palette in mano e la gioia nel cuore, pronta a regalarla anche a noi che eravamo lì ad aspettarli, con lo stesso entusiasmo con cui piantavano i bulbi dei crochi e dei tulipani.
Il giardino che ho in mente adesso è chiuso con un lucchetto, perché la gente là fuori porta la mascherina e non deve più incontrarsi e noi non possiamo rischiare di ammalarci perché siamo vecchi e fragili, anche se chiusi qui non è tanto diverso da morire.
Nel giardino che ho in mente domani scenderò per un po’ e ci sarà mia nipote ad aspettarmi, seduta vicino al calicanto e alla forsizia in fiore, e dovrò fare tesoro di tutto quel giallo e di ogni minuto in cui le terrò la mano, per resistere ed aspettare che torni la primavera là fuori ed anche qua dentro.

*Liberamente ambientato al Giardino delle Stagioni, giardino pubblico con percorso sensoriale realizzato presso la casa di riposo Istituzione “Davide Drudi” di Meldola, provincia di Forlì-Cesena.

 

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ultima modifica 2020-11-20T17:01:08+01:00
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