Rimini città

Rimini, Ponte di Tiberio - foto di Andrea ScardovaTra la fine del 1943 e il 1945, Rimini fu uno dei principali centri della guerra in Italia, sia per la vicina presenza della Linea Gotica, sia in quanto porta d’ingresso alla pianura padana.
La città disponeva inoltre di un aeroporto e in essa si incrociavano le principali vie di comunicazione stradale e ferroviaria. Questa millenaria importanza strategica non sfuggì agli Alleati i quali, nel tentativo di tagliare le linee di collegamento delle retrovie nemiche per “strangolare” i rifornimenti dell’esercito tedesco in Italia, la distrussero bombardandola.
La città iniziò a essere colpita l’1 novembre 1943 e i bombardamenti proseguirono sino al 30 settembre dell’anno successivo. Dopo i primi tre raid aerei alleati, dal 28 dicembre 1943 Rimini si trasformò in una città morta, svuotata dei propri abitanti che sfollarono verso le colline e i paesi vicini. Nonostante ciò, gli attacchi continuarono incessanti, soprattutto per interrompere ogni transito in direzione di Bologna e Ferrara.
Alla fine del conflitto la percentuale di distruzione del patrimonio edilizio e infrastrutturale risultò superiore all’80%, più alta di quello della città di Dresda, che rappresenta, insieme a Coventry in Inghilterra, il simbolo della distruzione che arriva dal cielo.
Con i bombardamenti, la città romagnola subì la perdita di buona parte dei suoi beni architettonici. Si salvarono l’Arco d’Augusto, il Tempio Malatestiano, il Ponte di Tiberio e Castel Sismondo.

I MONUMENTI DANNEGGIATI

Rimini, Arco di Augusto - foto di Andrea ScardovaL’Arco di Augusto (costruito nel 27 a.C. e caposaldo terminale della romana via Flaminia) scampò varie volte alla distruzione, sia da parte tedesca che alleata. Pur trovandosi in posizione isolata, così voluta dal podestà Palloni che dieci anni prima aveva abbattuto gli edifici circostanti, nel settembre del ‘44 l’ordine tedesco fu quello di abbattere l’Arco per rallentare l’avanzata anglo-americana. Il maresciallo Willi Trageser, incaricato di abbattere il monumento con gli esplosivi, contravvenne coraggiosamente all’ordine e risparmiò l’Arco una prima volta.
Poche settimane dopo, l’Assessore ai Lavori Pubblici Mario Macina dovette lottare con i tecnici britannici per evitare che l’Arco venisse demolito e le sue pietre monumentali utilizzate per consolidare il manto delle strade distrutte dai cingoli e dalle ruote di migliaia di veicoli.
Ultimo dal punto di vista cronologico fu il salvataggio operato dall’ufficiale australiano James D. Woods, appassionato d’arte, che nel dicembre 1944 scongiurò l’abbattimento del monumento, questa volta minacciato dalle truppe sudafricane che volevano accelerare il passaggio dei loro automezzi.

Rimini, Ponte di Tiberio - foto di Andrea ScardovaAnche il salvataggio del ponte di Tiberio è legato al nome del maresciallo della Wehrmacht Willi Trageser. Egli simulò per ben tre volte di far saltare il ponte, che nel settembre del 1944 rimase l’unico varco agibile per oltrepassare il fiume Marecchia. Il maresciallo tedesco piazzò ben 8 fornelli, e più di 100 kg di esplosivo nei pressi del ponte: solo due fornelli esplosero senza provocare danni. Tuttavia Trageser, mentendo al suo comando, comunicò che il ponte era saltato. Qualche tempo dopo, quattro paracadutisti fuggiti da un campo alleato comunicarono che il ponte era ancora in piedi, perciò il maresciallo tedesco rischiò l’incriminazione e la morte. Fortunatamente, il salvataggio del ponte romano si concluse senza conseguenze per la sua vita.

Rimini, Rocca malatestiana - foto di Andrea ScardovaCastel Sismondo o Rocca Malatestiana è stata la casa di Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini dal 1432 al 1468. Simbolo della potenza del Signore della città, essa fungeva da fortezza oltre che da dimora. Della sua originaria consistenza, oggi resta il nucleo centrale del castello, adibito fin dal 1857 a prigione comunale.
Qui nell’agosto del 1943, dopo la caduta del regime fascista, furono incarcerati vari gerarchi riminesi come Giuffrida Platania, Eugenio Lazzarotto, Perindo Buratti e Valerio Lancia.
Durante il terrificante bombardamento del 28 dicembre 1943, il portone principale della rocca venne scardinato, e dalla sua breccia scapparono alcuni prigionieri, catturati dopo l’8 settembre. Tra questi, 6 ebrei riuscirono a trovare rifugio in case private e in istituti religiosi.
In seguito a questo episodio le carceri furono trasferite al Convento delle Grazie, futura sede dell’Arma dei Carabinieri, ma già nel 1945 la Rocca tornò a essere utilizzata come prigione fino al 1967.

jpg43.31 KB)Rimini, Tempio Malatestiano - foto di Andrea ScardovaIl Tempio Malatestiano di Rimini, uno dei simboli religiosi della città, fu duramente colpito dai bombardamenti il 29 gennaio 1944, dopo che altri ordigni lo avevano sfiorato centrando invece il seminario e la curia vescovile.
La parte posteriore della chiesa crollò fino alle arcate gotiche, con sbrecciature ai bassorilievi e ai trafori di marmo della finestra della prima cappella. Nella tragicità dell’evento, si salvò il fronte originale, ideato dal genio dell’Umanesimo Leon Battista Alberti, e il monumentale affresco di Piero della Francesca, che fu successivamente staccato e portato a Mantova.
Nello scoppio si scoperchiò anche il monumento sepolcrale di Sigismondo: le ossa si dispersero ma, grazie alla prontezza dei custodi dei beni culturali e artistici di Rimini Angelo Campana e Carlo Lucchesi, i resti mortali dell’antico signore di Rimini furono recuperati e custoditi.
La parte absidale, insieme a buona parte del tetto, furono ricostruiti in forme semplificate con l’esterno in mattoni a vista e l’interno in semplice intonaco bianco. Nel 1950 fu ripristinato nel Tempio anche l’affresco di Piero della Francesca.

LE FORCHE IN PIAZZA

Rimini, Piazza Tre Martiri - foto di Andrea ScardovaLa piazza principale di Rimini, allora intitolata a Giulio Cesare, venne più volte colpita dai bombardamenti: subirono danni ingenti quasi tutto il lato mare della piazza tranne la Torre dell’Orologio (progettata dall’architetto Francesco Buonamici) e la statua di Giulio Cesare. Nella piazza si consumò uno degli episodi più macabri della guerra, tanto da farla rinominare Piazza Tre Martiri: il 15 agosto 1944 tre giovani partigiani appartenenti alla XXIX Brigata “Gastone Sozzi”, accusati di aver sabotato una trebbiatrice e di aver detenuto armi e munizioni, furono sommariamente processati e impiccati all’alba del 16 agosto. Come deterrente per la lotta partigiana, i corpi dei ragazzi rimasero esposti sulle forche per due giorni.
Una lastra in bronzo fissata al pilastro di un palazzo della piazza riporta i nomi dei tre martiri: Adelio Pagliarani di 19 anni, Mario Capelli di 23 anni, Luigi Nicolò di 22 anni. Sul selciato sottostante, negli anni ’90, il luogo della forca è stato contrassegnato con liste di marmo.
Numerose altre lapidi ricordano gli scontri sanguinosi di quegli anni: dal cippo dedicato al partigiano Silvio Cenci, caduto il 10 maggio 1944 a 24 anni nei pressi dell’Arco d’Augusto per mano di un soldato repubblichino, alla lastra dedicata a Igino Chiesi ed Enrico Battarra, uccisi da fascisti il 24 agosto 1944 in via Fratelli Cairoli, a soli 8 giorni dall’impiccagione dei Tre Martiri.

ALTRI EDIFICI BOMBARDATI

Altri luoghi simbolo dei bombardamenti subiti dalla città sono la Chiesa di San Bernardino, nel cui debole rifugio antiaereo morirono 56 civili, e il rifugio di villa Cecchi in via Montefeltro (29 morti, quasi per intero appartenenti alla famiglia). Entrambi gli edifici non sopravvissero alla furia dei bombardamenti del 28 dicembre, gli stessi che rasero al suolo gran parte del centro storico cittadino.

Rimini, Teatro Galli - foto di Andrea ScardovaL’obiettivo sostanzialmente mancato degli Alleati era quello di colpire la stazione e i ponti ferroviari, ma la tattica del bombardamento a tappeto non risparmiò né il Teatro Vittorio Emanuele II (attualmente teatro Amintore Galli) né alcuni dei gioielli rinascimentali della città, come Palazzo Garampi e Palazzo Lettimi.
A causa del bombardamento, il teatro venne sventrato e perse una parte significativa del tetto, assieme al palcoscenico e al triplice ordine di palchi. Successivamente, fu utilizzato come sede del Governo Militare Alleato e quindi ulteriormente sottoposto a deterioramento.
Rimini, Palazzo Garampi - foto di Andrea ScardovaPoco distante, la sede comunale di palazzo Garampi subì medesima sorte, così descritta dallo scrittore e partigiano Giudo Nozzoli: “In piazza Cavour è miserando lo spettacolo del Palazzo Garampi, il secondo dei palazzi del Comune sventrato fino a terra per l’estensione di tre quattro arcate a cominciare dall’angolo Nord Est che tuttavia è rimasto in piedi. Mi affaccio sull’atrio per esaminare il gran lapidone in onore del Garampi: è a terra in circa quattro pezzi come proiettato da un contraccolpo ricevuto dal muro meridionale”.
Rimini, Palazzo Lettimi - foto di Andrea ScardovaAnche il cinquecentesco palazzo Lettimi, adibito a Liceo musicale comunale, venne distrutto quasi totalmente, tanto da essere demolito per motivi di sicurezza nel 1968. Del palazzo originale restano il muro a scarpa e il portale con le formelle a bugna. Se le pitture che decoravano le pareti della sala sono andate completamente perdute, sette degli affreschi del Piano Nobile sono stati recuperati e sono oggi esposti al Museo della Città.

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ultima modifica 2023-12-19T15:08:11+01:00
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