Nel corso del Ventesimo secolo il destino di Reggio Emilia è legato a doppio filo alla sua fabbrica più importante, che ha caratterizzato la città come la Fiat per Torino. Le Officine Meccaniche Reggiane nascono nel 1904 e rappresentano la più grande impresa industriale emiliana in un territorio a vocazione quasi esclusivamente agricola.

Le bombe sulla fabbrica

Le Officine Meccaniche Reggiane in rovina dopo il bombardamento del 7 e 8 gennaio 1944 - foto Fototeca Istoreco (Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea in provincia di Reggio Emilia)

Le Officine Meccaniche Reggiane nascono come fabbrica di carrozze, locomotive e vagoni merci in un’epoca di grande espansione industriale. Nel 1935 vengono acquisite dalla Società Aeronautica Caproni e trasformate in un grande complesso militare e aeronautico: gli aerei da caccia della serie RE equipaggiano l’aeronautica italiana, svedese e ungherese, e perfino i tedeschi armano la Luftwaffe con gli aerei prodotti a Reggio Emilia. È questo il periodo più famoso e fortunato della fabbrica, che arriva a occupare fino a 11.000 dipendenti. Risale poi al 1940 la costruzione della nuova sede della direzione aziendale, una palazzina in stile razionalista progettata dall’architetto Vito Magistretti di Milano: l’edificio è a forma di M, in omaggio a Mussolini, e al suo interno nasconde un grande rifugio antiaereo.
Negli stessi anni in città viene progettata la costruzione di un aeroporto, inaugurato il 24 febbraio 1937, quando sulla nuova pista decolla il primo aereo: il P32bis prodotto dalle Reggiane. Sull’attuale Campovolo vengono edificati tre hangar, la torre di controllo, la caserma avieri, la palazzina ufficiali: l’aeroporto svolge la doppia funzione di base militare della Regia Aeronautica e di pista per il collaudo della produzione avio delle Officine.

Tutto questo nodo industriale, obiettivo militare dell’Air Force alleata fin dal 1940, fu raso al suolo nel corso di due bombardamenti successivi, che sconvolsero Reggio Emilia il 7 e l’8 gennaio 1944. L’attacco venne sferrato in due tempi: il primo, la sera del 7, da parte di 26 bombardieri inglesi; il secondo, americano, il giorno 8, da parte di 109 “Fortezze volanti”. La fabbrica venne colpita in pieno e di fatto cessò ogni tipo di produzione: i reparti avio vennero trasferiti in varie località della Lombardia e del Veneto, seguiti da migliaia di lavoratori che ripreserp una seppur limitata produzione bellica. L’aeroporto venne abbandonato definitivamente dopo il luglio 1944 e in buona parte distrutto dalle truppe tedesche alla metà di settembre, in corrispondenza dell’avanzata alleata oltre la Linea Gotica.
Negli attacchi del 7 e 8 gennaio 1944 gli aerei giunsero sulla città seguendo la Via Emilia, da ovest verso est. Sulla loro rotta, subito prima della stazione e delle Reggiane, si trovava il quartiere di Santa Croce, costruito negli anni Trenta per i dipendenti della fabbrica. L’area fu gravemente danneggiata insieme allo scalo ferroviario, altro bersaglio dichiarato degli Alleati in quanto nodo della linea elettrificata a doppio binario da Milano ad Ancona.

Le bombe sulla stazione

La stazione di Reggio, inaugurata nel 1859 durante i giorni della fuga del duca d’Este e dell’unificazione nazionale, era stata ricostruita nel 1934 e adornata di un grande mosaico che inneggiava al tricolore, su progetto dell’architetto Angiolo Mazzoni. All’inizio della guerra, sotto il piazzale antistante intitolato a Guglielmo Marconi, era stato costruito un rifugio antiaereo a ogni allarme si riempiva di abitanti. Durante l’incursione del 7 e 8 gennaio ’44 una bomba lo colpì in pieno, e poco poterono parare le pareti blindate.
Agli obiettivi dell’attacco si aggiunsero ingenti danni collaterali: interi quartieri popolari tra via Roma e via Dante subirono pesanti bombardamenti; il fuoco amico colpì anche il vecchio carcere dei Servi, le cui mura cedettero favorendo la fuga di tanti prigionieri. Fra loro Alcide Cervi, il padre dei fratelli Cervi, rinchiuso da tempo nella prigione cittadina e ancora ignaro della sorte toccata ai sette figli, fucilati una decina di giorni prima nel poligono di tiro vicino al tribunale. Le esplosioni provocarono inoltre 81 morti e 53 feriti gravi nei padiglioni dell’Istituto San Lazzaro, il vecchio manicomio.

Le bombe sulla villa

Villa Terrachini era una dimora padronale di ispirazione toscana risalente alla seconda metà del XIX secolo: di proprietà della famiglia Linari, comprendeva un giardino all’inglese, un laghetto e un viale d’ingresso prospettico. Quando nel 1860 passò a Prospero Ottavi, responsabile del traforo del Frejus, la villa fu dotata di un parco con querce e altri alberi pregiati. Dopo la mezzanotte dell’8 settembre 1943, alla notizia dell’armistizio fra Regno d’Italia e Alleati, i reparti della Prima Divisione Panzer “Leibstandarte SS Adolf Hitler” occuparono l’edificio e utilizzarono la fitta vegetazione del parco per nascondere i loro carri armati “Tigre” agli aerei alleati.
Proprio partendo dal Bosco Terrachini la Divisione invase Reggio Emilia uccidendo cinque militari italiani alla Caserma Zucchi. Un altro suo contingente completò la conquista di Parma, Piacenza e Modena, mentre altre unità si diressero verso Vicenza, all’assalto di caserme, presidi e aeroporto. A Reggio era presente il maggiore Joachim Peiper, che pochi giorni dopo, a Boves, in provincia di Cuneo, si renderà responsabile di una strage di 25 civili. La villa sarà in seguito pesantemente bombardata dagli Alleati e verrà ricostruita nel dopoguerra. Il suo bellissimo parco, che si affaccia sulla via Emilia ovest, fu utilizzato come sede per la festa dell’Unità e ospitò le più importanti personalità del PCI - Partito comunista italiano e della CGIL - Confederazione italiana generale del lavoro, che spesso intervenivano in città in appoggio alla lotta per la salvezza delle Reggiane.

I monumenti alla memoria

Il Sacrario dei Caduti della Prima e della Seconda guerra mondiale nel Cimitero Suburbano di Reggio Emilia - foto di Andrea Scardova

Le vittime dei bombardamenti del 7 e 8 gennaio 1944 furono radunate in un apposito “campo incursionati” all’interno del Cimitero suburbano di Reggio. Il campo doveva ospitare temporaneamente le salme delle vittime e consentirne, ove possibile, il successivo riconoscimento. Su quel luogo, nel 1956, l’Associazione nazionale vittime civili di guerra fece erigere un sacrario per ricordare i 766 morti dei bombardamenti angloamericani che colpirono la città e il forese dal 1943 al 24 aprile 1945.
Negli anni successivi viene richiesta a più voci la realizzazione di una struttura commemorativa dedicata a tutte le vittime civili della Seconda guerra mondiale. Il progetto vede la luce nel 2009, grazie alla collaborazione fra istituzioni locali, e il monumento viene collocato nel Parco Santa Maria Nuova, dove sorgeva l’ospedale civile anch’esso bersagliato dai bombardieri. L’installazione è costituita da un’intelaiatura bianca a forma di cubo, che racchiude una vera scheggia di bomba; sui lati verticali del cubo sono posti quattro pannelli, su cui sono incisi i nomi delle oltre 1.600 vittime civili della guerra in provincia di Reggio Emilia.

Altri due monumenti simbolo si ritrovano nel cuore della città, in piazza Martiri del 7 luglio 1960, dove si affacciano alcuni tra gli edifici più rappresentativi: il Teatro Valli, il Palazzo dei Musei, l’Ex Palazzo della Banca d’Italia. Il primo dei due, il Sacrario ai caduti per la Libertà era nato subito dopo la guerra come gesto spontaneo dei famigliari e dei compagni caduti, che cominciarono ad affiggere fotoritratti al muro adiacente la Galleria Parmeggiani. Nel 1985, in seguito a lavori di restauro nell’edificio della Galleria, venne decisa una nuova ubicazione, nonché una nuova soluzione formale: il sacrario venne ricostruito nell’area verde adiacente ai monumenti dedicati alla Resistenza e ai caduti del 7 luglio 1960. Il nuovo monumento è composto da dieci steli metalliche, ognuna delle quali ospita circa sessantadue nomi di caduti e contiene le 615 fotoceramiche precedentemente infisse nel vecchio monumento.
A pochi passi di distanza si può vedere il Monumento alla Resistenza, opera in bronzo su base di granito dello scultore Remo Brioschi. La scultura, inaugurata il 25 aprile 1958 e realizzata grazie a una sottoscrizione pubblica, rappresenta gli ultimi istanti di vita di un gruppo di vittime civili: le figure in bronzo, seguendo la tensione verticale delle aste che sostengono il peso dei corpi, esaltano la sofferenza e l’eroismo dei valorosi combattenti.