Memoria Novecento

Ravenna provincia

A dispetto della conformazione pianeggiante della provincia, che presupponeva una rapida avanzata dei mezzi corazzati alleati verso Bologna, il reticolo di fiumi e torrenti intorno a Ravenna, unito alle piogge insistenti e alla nebbia padana, consentì ai tedeschi di opporre una resistenza ostinata per sei lunghi mesi. Un tempo infinito con pesantissime conseguenze sulle condizioni di vita della popolazione, sfiancata dai bombardamenti alleati che provenivano dal cielo e da rappresaglie e rastrellamenti che avvenivano nelle campagne per parte tedesca.

L’ISOLA DEGLI SPINARONI

Nel Parco regionale del Delta del Po, a nord di Ravenna, sopravvive ancora un isolotto di notevole valore naturalistico, storicamente collegato alla battaglia per la liberazione di Ravenna: qui il movimento partigiano decise di costituire un campo base raggiungibile solo in barca e mai intercettato dalle ricognizioni tedesche.
Una ricca vegetazione spontanea di olivelli spinosi, chiamati in dialetto spinaroni, e la presenza di nascondigli utilizzati molti anni prima anche da Giuseppe Garibaldi (in fuga nel 1849 da polizia asburgica e papalina), occultarono in queste zone alcune centinaia di combattenti riuniti nel Distaccamento di Valle intitolato al caduto Terzo Lori. 
L’isolotto funzionò come stazione radio (alimentata da un generatore elettrico collegato a una bicicletta su cui pedavalano a turno i partigiani), ospitò prigionieri tedeschi, equipaggi di aviatori alleati e perfino un ufficiale di collegamento canadese che garantiva l’esecuzione delle direttive alleate. Da questa base partivano gli attacchi notturni ai convogli tedeschi in transito sulla Strada statale 16 ‘Adriatica’ e i sabotaggi contro le postazioni tedesche sulla costa. Nella notte tra il 3 e il 4 dicembre partì dall’isola la manovra a tenaglia orchestrata da Arrigo Boldrini ‘Bulow’ per la liberazione di Ravenna e denominata ‘Operazione Teodora’. Di quella stagione eroica restano oggi un capanno, ricostruito con assi di legno, una lapide in marmo e il segno dei camminamenti utilizzati dai partigiani.

LA LINEA GALLA PLACIDIA

L’intera costa romagnola, e in particolare il tratto che va da Lido di Savio a Casalborsetti, conserva tracce del sistema difensivo noto con il nome di Galla Placidia, che i tedeschi fecero costruire all’indomani dell’Armistizio dell’8 settembre ‘43. Temendo un possibile sbarco alleato dal mare, come in effetti avvenuto sul Tirreno ad Anzio, il litorale adriatico da Pesaro al Delta del Po venne fortificato per 130 km con bunker in cemento e sbarramenti anticarro detti ‘denti di drago’, intervallati con campi minati e fili spinati.
La costruzione di questi avamposti militari fu affidata alla Todt (l’organizzazione tedesca del lavoro forzato), che utilizzò il cemento armato in maniera così efficace che alla fine della guerra gli esplosivi non bastarono a demolirne la struttura. Di circa tremila bunker di attacco e difesa, alcune costruzioni superstiti vennero inglobate nelle proprietà private e utilizzate come cantine, depositi o fondamenta per nuove abitazioni, mentre altre restarono abbandonate tra spiagge e pinete. Il veloce sviluppo turistico della riviera romagnola favorì in altri casi lo sprofondamento sotto il livello della sabbia di bunker Tobruk o Regelbau 668, costruiti per consentire il piazzamento di cannoni e mitragliatrici Flak sulla riva del mare.
È molto recente il recupero a fini storici e turistici di questi residui bellici, che ripuliti e messi in sicurezza costituiscono un patrimonio culturale ancora pienamente da valorizzare. 

I SEGNI DELLE STRAGI

La liberazione di Ravenna fu preceduta da due stragi di civili, che sono oggi ricordate con due monumenti solenni, e tuttavia molto diversi tra loro.
Il primo è un sacrario realizzato con 5000 mattoni provenienti dal campo di aviazione dismesso e si trova a Madonna dell’Albero, località a sud di Ravenna dove il fiume Ronco si unisce al Montone dando origine ai Fiumi Uniti.
Qui il 27 novembre del 1944 si scontrarono una trentina di soldati tedeschi e una pattuglia di militari canadesi e di partigiani. Nella battaglia rimase ucciso un soldato tedesco, che i commilitoni decisero di vendicare uccidendo dei partigiani. Pur avendo perquisito le abitazioni del borgo senza trovare ribelli, i tedeschi raccolsero tutti i civili presenti, li radunarono presso un capanno e li sterminarono a colpi di mitragliatore. Infine nascosero i cadaveri sotto cumuli di letame e si allontanarono. Le vittime furono in tutto 56, tra cui 16 bambini e 17 donne. 
Nei pressi delle mura di Ravenna, a fianco del quattrocentesco Torrione dei Preti, si trova la scultura monumentale “Omaggio alla Resistenza”, realizzato nel 1980 dallo scultore pesarese Giò Pomodoro. Il complesso architettonico è composto da tre elementi marmorei: il primo è un alto menhir di stampo cubista che rappresenta un ponte e segna il luogo dell’eccidio; il secondo è un cubo con i nomi e le foto dei 12 partigiani uccisi, sorretto da un piedistallo su cui è inciso l’anno 1944; il terzo è un cilindro in pietra di Trani che rappresenta la macina di un mulino. La parola “Sole” è incisa lungo la superficie esterna del cilindro, a simboleggiare appunto l’origine della vita.
In questo luogo il 25 agosto 1944 furono giustiziati dodici antifascisti con un’esecuzione esemplare. La strage fu scatenata dall’uccisione di un feroce brigatista nero (Leonida Bedeschi detto Cativeria), per mano del partigiano Umberto Ricci ‘Napoleone’ il 18 agosto 1944. Ricci fu catturato e consegnato alla Brigata Nera Ettore Muti, ma per rappresaglia i fascisti arrestarono nei giorni seguenti circa quattrocento ravennati. Dopo giorni di interrogatori e torture, tutte le massime autorità repubblichine locali convennero di fucilare dodici persone accusate di essere antifasciste. Sul ponte degli Allocchi vennero piantate due forche su cui furono impiccati Umberto Ricci e Natalina Vacchi, mentre uno dei prigionieri fu abbattuto da raffiche di mitra in un tentativo di fuga, e gli altri nove furono allineati lungo le mura del ponte e fucilati.

I CIMITERI DI GUERRA

A testimoniare la durezza degli scontri avvenuti nel ravennate tra la fine del 1944 e la primavera del 1945 sorgono oggi nel perimetro comunale ben due Cimiteri militari britannici, oltre a un sacrario militare collocato all’interno del Cimitero monumentale di Ravenna. 
L’imponente complesso monumentale, tutto in cemento e marmo travertino, comprende un altare centrale posizionato in una cappella all’aperto e 6 grandi stele commemorative disposte a semicerchio che riportano i nomi dei 621 militari ravennati caduti nelle due guerre mondiali. Cinque sono dedicate alla Prima (con la scritta GUERRA 1915 -1918) e una alla Seconda Guerra Mondiale (con la scritta GUERRA 1940 -1945).

Il cimitero militare di Ravenna si trova a 6 km dalla città in direzione di Ferrara, nei pressi della frazione di Piangipane. Nel 1945 questo spazio fu scelto dagli Alleati per ospitare solennemente i corpi dei militari caduti presso il fronte sul Senio.
Strutturato come gli altri cimiteri del Commonwealth, il campo presenta una loggia d’ingresso in stile neoclassico e un grande monumento centrale con la croce e la spada in ferro. La cripta custodisce il registro dei nomi, in questo caso 956, di cui 438 canadesi, 250 inglesi, 120 indiani, 96 neozelandesi, 11 sudafricani, 6 australiani, 2 di altri Paesi e 33 soldati della Brigata Ebraica, che si era formata nel settembre 1944 con volontari provenienti dalla Palestina.
Le lapidi, tutte uguali in marmo bianco, allineate e coperte come prevede lo schieramento militare, riportano i dati anagrafici del caduto, oltre a brevi epitaffi voluti dai familiari.
In un settore a parte, dal 1974 sono stati conferiti nel medesimo cimitero anche i resti di 33 caduti della Prima guerra mondiale, provenienti da Gradisca nel Friuli.

Un secondo cimitero di guerra è stato voluto a Villanova di Bagnacavallo, dove un piccolo contingente di soldati canadesi riuscì ad attraversare il fiume Lamone nella notte fra il 10 e l’11 dicembre 1944, pochi giorni dopo la liberazione di Ravenna. L’eroica testa di ponte non riuscì a sopravvivere a lungo alla resistenza tedesca, perché non disponeva di un ponte attraverso cui far arrivare armi e rifornimenti. Canadesi e tedeschi si scontrarono nei pressi del campo in cui oggi sono sepolti 206 canadesi e 6 inglesi; la battaglia si risolse a favore degli Alleati solo grazie all’intervento degli aerei, che comunque non impedirono la morte di soldati compresi tra i 17 e 39 anni.
Sul lato opposto della strada è stato posto un modulo del ponte Bailey che gli Alleati avevano allestito per l’attraversamento del Lamone, e che oggi costituisce il Monumento all’azione dei soldati canadesi.

Infine lungo la Strada statale 16, nella frazione di Camerlona a 5 km da Ravenna, si trova il Cimitero militare del Gruppo di Combattimento Cremona, uno dei pochi cimiteri ufficiali delle Forze Armate italiane impegnate nella Seconda guerra mondiale. Il complesso monumentale, voluto dal Ministero della difesa, comprende diverse strutture: le più grandi sono due sacrari in calcestruzzo con lapidi in marmo e scritte incise e dipinte in nero. Tra i due sacrari c’è un altare in pietra con un’alta croce in acciaio alle spalle. Un’altra struttura in pietra raccoglie le onorificenze della Brigata “Cremona”, che entrò in azione nel dicembre del 1944 a nord di Ravenna e sostituì la Prima Divisione Canadese a metà gennaio del 1945 nelle zone tra Alfonsine e il mare Adriatico. Nel sacrario riposano i resti di 74 militari, compreso il generale Clemente Primieri, scomparso nel 1981 e qui sepolto per volontà testamentaria.

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ultima modifica 2023-12-19T16:08:14+02:00
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