Piacenza città
Punto terminale dell’antica Via Emilia, a ridosso del fiume Po e della Lombardia, fin dall’epoca romana Piacenza è stata un nodo stradale (e poi ferroviario) di enorme rilievo. La sua collocazione geografica ha inoltre favorito nei secoli la nascita di installazioni militari come il castello Farnesiano, l’Arsenale, l’Ospedale e numerose caserme che, con la loro presenza, incidono profondamente la struttura urbana e architettonica della città.
Durante il secondo conflitto mondiale queste particolari caratteristiche ne hanno fatto un importante obiettivo strategico dei bombardieri alleati, con ripetuti attacchi aerei rivolti principalmente alla stazione ferroviaria. Per gli Stati maggiori alleati distruggere i binari significava spezzare i collegamenti ferroviari tra Bologna, Milano e Torino; mettere fuori uso la ferrovia avrebbe inoltre creato difficoltà nel movimentare i materiali in arrivo e partenza dagli stabilimenti militari, che in quegli anni erano al massimo della loro capacità produttiva: solo l’Arsenale militare occupava 2.500 operai.
Le bombe sulla città
Nelle 92 incursioni alleate che devastarono il capoluogo per un anno intero, dal 2 maggio 1944 alla fine della guerra, vennero colpiti ripetutamente i ponti sul Po, tra Piacenza e Milano, e sul Trebbia, tra Piacenza e Genova, la stazione e le linee ferroviarie, il campo di aviazione di San Damiano e alcuni stabilimenti industriali. Nel complesso i bombardamenti causarono quasi 270 morti e il centro urbano fu distrutto per il 45% dei suoi edifici.
In piazza Cavalli, cuore della città, non distante dai ponti sul Po, le due statue equestri di Alessandro e Ranuccio Farnese vengono in un primo tempo protette con robuste ingabbiature di legno, e poi nel 1944, quando è chiaro che le bombe non risparmieranno i monumenti, sono rimosse e ricoverate nel castello di Rivalta.
Sorte diversa tocca a due edifici sacri, feriti in maniera irreparabile. L’11 gennaio 1945 viene colpita la chiesa di Sant’Agostino con il contiguo refettorio, dove va in rovina un affresco cinquecentesco di Giovanni Paolo Lomazzo raffigurante l’“Ultima Cena”. L’11 marzo del ’45 è la volta della chiesa gotica del Carmine Vecchio, di cui sono distrutti il capocroce e il braccio destro del transetto: l’edificio non verrà più ricostruito né aperto al culto e oggi è di proprietà del Comune, che lo utilizza come deposito dei Musei di Palazzo Farnese.
I bastioni superstiti del Castello di Pierluigi Farnese diventano rifugi antiaerei di fortuna: sotto il bastione San Giacomo viene realizzato il riparo più strutturato, dotato di impianto per il ricambio dell’aria, di illuminazione e di servizi igienici. Gli ingressi sono protetti da porte corazzate, ancora oggi esistenti. Il rinascimentale Palazzo Farnese, con tutta l’area circostante e retrostante, era una perfetta caserma urbana già nel periodo napoleonico. In tempo di guerra diventa sede della Guardia nazionale repubblicana, corpo di punta del regime nato ufficialmente nel giugno ’44, e al termine dei bombardamenti viene adibito a ricovero dei senza tetto.
Le pietre della memoria
La memoria storica della comunità piacentina è affidata a varie lapidi che ricordano sia i militari che i partigiani caduti in guerra, a partire dalla lastra in marmo che sotto le arcate del Palazzo Gotico (uno degli esempi più significativi di architettura civile del XIII secolo) ricorda il conferimento della Medaglia d’oro al valor militare alla città.
Altre lapidi si trovano a Barriera Genova, tradizionale porta di ingresso del capoluogo, e tracciano simbolicamente l’inizio e la fine della Resistenza cittadina. Una, posta sul muro esterno dell’ex Ospedale militare, ricorda gli scontri del 9 settembre 1943 e i 31 soldati caduti per cercare di impedire l’occupazione nazista della città. Dall’altra parte della strada, un cippo ricorda cinque giovani partigiani delle Divisione Piacenza caduti in combattimento il 26 aprile 1945, alla vigilia della liberazione cittadina avvenuta dopo appena due giorni.
I monumenti alla Resistenza
In un’area verde situata all’incrocio tra lo Stradone Farnese e corso Vittorio Emanuele II si trova il “Dolmen”, un monumento ai caduti della Resistenza inaugurato nel 1976, che ha suscitato opinioni contrastanti. All’epoca Piacenza non disponeva ancora di un monumento dedicato alla Resistenza, né di fondi significativi per realizzarlo. L’amministrazione comunale affidò il progetto all’artista piacentino William Xerra, chiedendogli di concepire un’opera semplice e a basso costo. La scelta innovativa di rappresentare l’opera senza figure o riferimenti diretti ai simboli della lotta partigiana generò le critiche di una parte dell’opinione pubblica. Tuttavia, a distanza di tempo, il “Dolmen” è diventato un punto di riferimento importante per i cittadini piacentini e il suo valore simbolico è oggi ampiamente riconosciuto e apprezzato.
Risale al 2005 il dolente Monumento ai partigiani realizzato sull’argine del Po da Christian Zucconi, classe 1978. Così recita la targa: “Fra il novembre 1944 e il marzo 1945 nelle carceri di Piacenza furono detenuti oltre 1.200 prigionieri. Molti vennero fucilati e altri scomparvero nel nulla. Di questi un numero imprecisato fu ucciso e abbandonato nel Po”.
Il muro dei fucilati
Un altro luogo simbolico della Resistenza piacentina è il Muro dei fucilati, posto nel cimitero urbano. Qui, in fondo al Terzo reparto, a partire dal 7 agosto 1944, con l’esecuzione di Artemio Zurla, giovane partigiano di soli 21 anni abitante a Travo, inizia la triste serie di 17 fucilazioni. Su questo muro non cadono solo combattenti partigiani, ma anche semplici cittadini incarcerati per sospetto antifascismo e poi fucilati in occasione di rappresaglie. Le esecuzioni sommarie andarono avanti fino al 21 marzo 1945 e riguardarono 16 uomini e una ragazza. Dopo la liberazione di Piacenza, nello stesso luogo, ebbe luogo l’esecuzione, fra gli altri, di Alberto Graziani, il capo della provincia fascista che aveva ordinato molte di quelle condanne.