Le cronache raccontano che Parma visse un periodo di relativa tranquillità fino al 23 aprile 1944, data del primo bombardamento aereo che sconvolse la quiete. Fino ad allora la vita in città, nonostante la ferrea e spietata occupazione tedesca, il razionamento alimentare e le battaglie partigiane in montagna, continuava fra tornei amatoriali di calcio e la stagione lirica che non si era mai interrotta. Era opinione comune che il maestro Arturo Toscanini, illustre concittadino emigrato negli Stati Uniti per motivi politici, avesse speso una buona parola presso le autorità americane per evitare le bombe sulla sua città, e che lo spirito antifascista della “Parma rossa” bastasse a evitare gli attacchi angloamericani.

Le bombe sulle città

Il sogno di poter attraversare la guerra senza danni fu interrotto bruscamente il 23 aprile del 1944: l’alta concentrazione di forze tedesche e la rilevanza strategica del territorio avevano reso l’area intorno alla Cisa uno dei principali obiettivi degli attacchi alleati. Le controffensive aeree denominate “Strangle” e “Diadem” miravano a colpire le vie di comunicazione per ostacolare i rifornimenti alle linee germaniche.
La notte del 23 aprile il primo bombardamento di Parma miete le sue vittime: quindici militari della Scuola d’applicazione di Fanteria vengono colpiti dentro il complesso del Parco Ducale, che ospita varie unità e servizi della Wehrmacht ed è utilizzato come parcheggio per gli automezzi militari tedeschi, grazie alla copertura offerta dalla fitta vegetazione. Due giorni dopo, un nuovo attacco dei bombardieri alleati colpisce il centro storico dell’Oltretorrente, causando 133 morti e circa 150 feriti. Il 2 maggio, durante un’incursione sugli impianti della stazione ferroviaria, viene centrato un rifugio antiaereo al Cornocchio e le bombe provocano la morte di quasi tutti gli occupanti: 150 persone tra abitanti del luogo e viaggiatori di passaggio.

I monumenti danneggiati

Il 13 maggio 1944 una nuova ondata di fortezze volanti angloamericane sgancia sul centro cittadino una cascata di ferro e di fuoco, colpendo piazza Garibaldi e il complesso della Pilotta, di cui vanno distrutte quasi completamente l’ala sud e l’ala ovest, così come l’adiacente Teatro Reinach. La parte nobile dell’edificio, già riadattata a prefettura, è persa. I soffitti della Pilotta si schiantano anche sulle stanze della Galleria nazionale e i libri della Biblioteca Palatina crollano assieme alle macerie: a conti fatti ne vanno persi circa 15.000. I faldoni dell’Archivio di Stato bruciano e va in fiamme anche il Teatro Farnese, gioiello seicentesco di rara bellezza.
Le conseguenze del disastro furono solo in parte mitigate dall’opera dei padri benedettini e dei frati dell’Annunziata, che accorsero immediatamente, tra polveri e macerie, per salvare i libri preziosi dalla distruzione. Oltre ventimila volumi vennero recuperati, oltre a numerosi documenti. Le opere della Galleria nazionale, invece, scamparono il pericolo grazie al previdente trasferimento da parte della soprintendenza, che la aveva spostate nel castello di Torrechiara, poco fuori Parma.
Per metter mano alla ricostruzione dei monumenti si dovranno attendere gli anni Cinquanta. La Biblioteca Palatina riaprirà al pubblico nel 1954, con una nuova Galleria Petitot, ricostruita sul modello di quella crollata. Il Teatro Farnese verrà riprodotto in modo fedelmente uguale all’originale tra 1956 e 1962, riutilizzando i legni superstiti, ma le statue di gesso erano troppo rovinate per tornare al loro posto. L’Archivio, invece, dal 1948 si trasferisce in Oltretorrente, nell’Ospedale Vecchio, rimasto vuoto da un paio di decenni: i faldoni vanno a occupare il luogo dove per secoli proprio i cappuccini hanno operato in favore degli ammalati.

Le bombe alleate del 13 maggio colpirono anche un’ala del complesso di San Francesco, il carcere cittadino, luogo di detenzione di criminali comuni ma anche e soprattutto di dissidenti politici, partigiani e persone a vario titolo invise ai nazifascisti. Le vittime dell’attacco furono più di 50, ma vi fu anche chi sopravvisse e chi ne approfittò per fuggire, spesso prendendo la via delle montagne per unirsi ai partigiani.
Per puro miracolo sono risparmiati il Duomo, il Battistero, la chiesa di San Giovanni, il Teatro Regio. Al termine della guerra, Parma si trovò a contare più di 800 vittime, con migliaia di feriti e invalidi causati dai bombardamenti aerei, oltre che con immensi crateri causati dai bombardamenti aerei.

Il monumento al Partigiano

Il Monumento al Partigiano nel Cimitero della Villetta a Parma - foto Andrea Scardova

In uno di questi spazi rimasti aperti, accanto al palazzo della Pilotta, sorge oggi il piazzale della Pace, su cui troneggia il monumento al Partigiano voluto dalla cittadinanza nel dopoguerra. Per la sua realizzazione fu bandito un concorso, che vinsero lo scultore Marino Mazzacurati e l’architetto Guglielmo Lusignoli. L’inaugurazione ufficiale avvenne il 30 giugno 1956, con una grande cerimonia e alla presenza del capo dello Stato Giovanni Gronchi. L’opera è composta da due statue: la prima è la figura distesa di un partigiano morente, con i piedi scalzi, la camicia aperta sul petto e le mani legate dietro la schiena; sullo sfondo, il muro della sua fucilazione, costruito con i mattoni di una casa distrutta dai bombardamenti del 1944. La seconda statua rappresenta invece un partigiano trionfante, ritto in piedi, armato di mitra Sten. A fargli da piedistallo è una grande roccia di pietra di Sarnico. Nelle immagini dei due partigiani sono perfettamente evidenziati due momenti rappresentativi della Resistenza: la lotta e il martirio.
Nel 1961 la statua del partigiano disteso è stata vittima di un danneggiamento doloso, operato tramite una bomba a orologeria. Restaurata nel 1969, è stata collocata nel Cimitero della Villetta, nell’atrio di collegamento fra la Galleria Nord e il Campo Nord, al cospetto dei Caduti partigiani della Seconda guerra mondiale: quella visibile oggi in piazza della Pace è quindi una copia.

Il monumento a Giuseppe Verdi

La stessa piazza della Pace custodisce a cielo aperto ciò che resta del monumento a Giuseppe Verdi, anch’esso sfregiato dai bombardamenti del 13 maggio 1944. Eretta a partire dal 1913, anno del centenario della nascita del Maestro, e inaugurata il 22 febbraio 1920, la maestosa struttura fu progettata dell’architetto Lamberto Cusani e posizionata nel piazzale antistante la Stazione.
Il monumento riprendeva la forma classica dell’arco di trionfo, sormontato da leoni trainanti un carro mitologico da cui partivano due bracci porticati semicircolari con 28 statue ideate dallo scultore palermitano Ettore Ximenes, a rappresentare le opere verdiane in ordine cronologico. Al centro dell’emiciclo era situata l’ara centrale, unica parte sopravvissuta insieme ad alcune statue. L’edificio, lievemente danneggiato dai bombardamenti alleati, venne infatti abbattuto nel 1946, in un clima di ricostruzione e riassetto urbanistico. Le nove statue che sopravvissero alla distruzione furono collocate all’interno del teatro “Arena del Sole” di Roccabianca, dove tuttora sono visibili. Di venti opere rimangono inoltre i bozzetti dello Ximenes, oggi conservati nell’Accademia di Belle Arti di Parma.