Modena provincia
La provincia di Modena presenta una fra le più alte concentrazioni di musei, luoghi di memoria e centri culturali relativi alla Seconda guerra mondiale, alcuni dei quali di rilievo internazionale. In questo territorio, infatti, i segni della Resistenza partigiana, della persecuzione ebraica e degli eccidi di civili connotano sia i comuni montani, più direttamente coinvolti sulla linea del fronte, sia le terre di pianura, martoriate da bombardamenti e azioni terroristiche.
Carpi e Fossoli
Tra i luoghi della memoria più rilevanti, vi è senza dubbio il Museo monumento al deportato, a Carpi, idealmente collegato al campo di transito e di concentramento di Fossoli, che si trovava a soli 6 chilometri dalla città. Fossoli era uno snodo fondamentale della mappa della deportazione in Italia: creato nel maggio 1942 per l’internamento di prigionieri di guerra, dopo l’8 settembre 1943 passò in gestione alla Repubblica sociale italiana (RSI), diventando, alla fine dell’anno, un campo di concentramento per ebrei e politici.
All’inizio del 1944 subentrò il comando nazista di Verona e il campo venne suddiviso in due zone: una sotto controllo italiano e una sotto la giurisdizione tedesca. In questa amministrazione mista, gli italiani controllavano gli internati civili (in molti casi cittadini di paesi nemici), mentre il campo nuovo gestito dai tedeschi divenne un Durchgangslager, un campo di transito per ebrei e politici, destinati all’ulteriore trasporto verso i campi di Auschwitz, Bergen-Belsen, Ravensbrück e Mauthausen. La scelta di utilizzare un campo proprio in questa località della pianura emiliana aveva ragioni strategiche, legate al suo posizionamento lungo la linea ferroviaria del Brennero.
Il campo italiano fu dismesso per ordine del Ministero dell’interno della RSI a metà luglio 1944, mentre gli ultimi convogli in partenza dal campo tedesco sono datati all’agosto. Non è facile calcolare il numero dei deportati passati da Fossoli: le ricerche storiche sono arrivate a indicare circa 5.000 prigionieri di guerra nel primo anno e circa 2.500-3.000 politici (la cui meta finale fu spesso Mauthausen e il suo sistema di sottocampi); a questi si aggiungono, tra il febbraio e l’agosto 1944, circa un terzo degli 8.000 ebrei deportati dall’Italia.
Nel 1996 è stata costituita la Fondazione ex Campo Fossoli, che su incarico del Comune di Carpi si occupa anche della gestione del Museo monumento al deportato. L’idea di realizzare in città un segno forte e permanente in ricordo della deportazione italiana risale agli inizi degli anni Sessanta, quando un comitato promotore composto da enti locali, associazioni di partigiani e deportati e l’Istituto storico della resistenza locale, istituisce un concorso nazionale. Vincono gli architetti Belgiojoso, Peressutti e Rogers, dello studio milanese BBPR, e nel 1963 iniziano i lavori di ristrutturazione dell’ala del castello dei Pio, destinata al museo, che fu inaugurato nel 1973 con scelte di allestimento che provocano tuttora un forte impatto emotivo: brani incisi alle pareti, selezionati dalle lettere dei condannati a morte della Resistenza, sono intervallati da graffiti realizzati da grandi pittori, tra cui Longoni, Picasso, Guttuso, Cagli e Léger.
Il percorso è segnato solo marginalmente da oggetti appartenuti a deportati: divise, posate, zoccoli, piastrine, ordinati da Lica e Albe Steiner. Nella sala dei nomi, sulle pareti e sulle volte, sono incisi il nome e il cognome di circa quindicimila italiani deportati nei lager tedeschi. Nel cortile esterno, parte integrante della visita, alcune fosse scavate nella pavimentazione fanno emergere sedici stele in cemento armato, alte sei metri, tutte con un orientamento diverso quasi a formare un labirinto: su ciascuna di esse sono incisi i nomi di alcuni dei tanti campi di concentramento e di sterminio di cui era costellata l’Europa.
Nonantola
Un altro luogo simbolico del territorio in esame è costituito da Villa Emma a Nonantola, dove tra il luglio 1942 e il settembre 1943 soggiornarono due gruppi di ragazzi ebrei di varia nazionalità, provenienti dalla Jugoslavia. Dopo l’8 settembre il medico Giuseppe Moreali e il parroco don Arrigo Beccari riuscirono a mettere in salvo tutti i ragazzi, prima nascondendoli presso una ventina di famiglie locali e poi organizzandone la fuga in Svizzera.
Per la loro azione coraggiosa, Moreali e Beccari furono riconosciuti nel dopoguerra come “Giusti tra le Nazioni”. Oggi la villa non è visitabile, in quanto appartenente a privati, ma in una casa colonica nelle vicinanze è allestita una mostra permanente che ripercorre la vicenda con immagini e documenti. Dal 2004 la Fondazione Villa Emma è l’ente preposto a promuovere, insieme alla gestione della mostra, la ricerca storica, la didattica e le iniziative culturali.
Montefiorino
Il Museo della Repubblica partigiana di Montefiorino, comune montano a cavallo tra le province di Modena e Reggio Emilia, è stato inaugurato nel 1979 nella rocca che fu l’epicentro di una vicenda unica nella storia della Resistenza in Italia. Costruita nel XII secolo dai Montecuccoli, signori della zona, la rocca era passata successivamente ai Bonaccorsi e nel XV secolo agli Estensi. Simbolo del potere locale, dopo l’8 settembre 1943 il castello era presidio della Repubblica sociale italiana: da qui il 18 marzo 1944 i nazifascisti cannoneggiarono Monchio delle Corti, la frazione posta sul versante opposto, dando avvio al massacro che portò alla morte di 136 persone.
Tre mesi dopo, il 17 giugno, i partigiani presero il controllo del territorio e ne proclamarono l’indipendenza, avviando un’esperienza di autogoverno democratico che coinvolse le popolazioni di Frassinoro, Prignano sulla Secchia, Palagano, Polinago, Toano, Ligonchio e Villa Minozzo. La Repubblica partigiana di Montefiorino fu debellata l’1 agosto successivo dai tedeschi, che diedero alle fiamme l’intero paese. Per quanto breve durata, la vicenda rappresentò il primo tentativo di ripristinare la democrazia nell’Italia occupata.
Nel 2015, per il Settantesimo anniversario della Liberazione, il Museo è stato riaperto con un nuovo allestimento, in cui convivono concretezza e multimedialità: mappe interattive, registrazioni sonore e archivi di immagini sono abbinati a teche che contengono oggetti della vita partigiana. Sono mappati anche tutti i segni commemorativi (più di 100, tra lapidi e cippi) collocati sul territorio della repubblica, che comprendeva un’area di circa 1.200 chilometri quadrati.
Monchio di Palagano
Nel territorio del vicino comune di Palagano c’è il Parco di Monte Santa Giulia, dedicato all’eccidio di Monchio delle Corti, esito della feroce rappresaglia compiuta il 18 marzo 1944 dai nazifascisti nel tentativo di stroncare l’attività delle formazioni partigiane modenesi. Per ognuna delle 136 vittime, tra cui c’erano donne e bambini, è stato piantato un albero. In un ampio spiazzo all’ingresso del parco è collocato un complesso monumentale di 14 sculture disposte in cerchio: si tratta del Memorial Santa Giulia, inaugurato nel 1994, in cui la Resistenza viene evocata per associazioni di idee da simboli visivi che rappresentano la vita, la violenza, la pace. I monoliti sono opera di altrettanti scultori italiani e stranieri, che tra il 1989 e il 1992 hanno lavorato in un atelier nei pressi di Fanano, e testimonia la ricerca di un nuovo linguaggio attraverso cui trasmettere la memoria alle nuove generazioni.
Montese e Iola
Il Museo storico di Montese, allestito nel 1999 nella trecentesca Rocca dei Montecuccoli, documenta la storia del territorio montesino dalla preistoria al secondo dopoguerra, con due sezioni dedicate alla Linea Gotica e alla Força Expedicionária Brasileira (FEB): il Corpo di spedizione brasiliano che fu protagonista della liberazione del capoluogo. All’interno sono esposti numerosi oggetti militari, uniformi, plastici e diorami; a poca distanza dal museo, sulle alture del Montello, è possibile visitare la postazione della Lastra Bianca, parte del sistema difensivo approntato dai tedeschi.
Nel Cinquantesimo anniversario della liberazione di Montese, in Largo Brasile, è stato inaugurato un monumento a ricordo dei soldati della FEB. Nella creazione dell’opera, realizzata in loco, il ricordo della guerra è tradotto dall’artista Italo Bortolotti nel ricordo di donne piangenti, di gente urlante, di case distrutte e animali spaventati: solo la rocca si intravede antica e vigile, a testimoniare la continuità della vita e il riordino delle cose.
All’interno dello stesso comune, nella frazione di Iola, la canonica della chiesa di Santa Maria Maddalena ospita il Museo di Iola, nato come raccolta locale di documenti e oggetti sulla vita quotidiana degli abitanti della montagna. Oltre a ricreare gli ambienti domestici e alcuni contesti lavorativi, il museo dedica un intero piano alla Seconda guerra mondiale, suddivisa tematicamente per eserciti: armi, divise, oggetti di uso quotidiano, fotografie e diorami illustrano la FEB, la Wehrmacht e la Tenth Mountain Division. Una rara raccolta fotografica a colori, donata dal reduce della Decima divisione Cruz Rios, documenta il percorso del reparto attraverso l’Appennino bolognese e la pianura modenese.