Tra il 1940 e il 1945 anche Modena scopre la “guerra totale”, che annulla le differenze tra campi di battaglia e luoghi abitati, tra militari e civili. Con intensità crescente gli Alleati colpiscono l’Italia prima da nemici e poi, dopo l’8 settembre 1943, come liberatori. Tutte le città si organizzano per gestire le conseguenze degli attacchi aerei: a Modena, fin dal 1938, sulla Ghirlandina è collocata una sirena per dare l’allarme e consentire ai modenesi di trovare riparo.
Il 14 febbraio 1944 la città subisce il primo bombardamento alleato, che mira a colpire le vie di comunicazione utilizzate dai tedeschi e le principali industrie che forniscono attrezzature e munizioni per la guerra. Il raid colpisce soprattutto la zona della stazione ferroviaria e l’adiacente quartiere Sacca, causando quasi 100 morti e 150 feriti. Ma è il secondo il più grave attacco aereo che sconvolge il paesaggio cittadino: il 13 maggio gli Alleati colpiscono per errore il centro storico, sebbene l’obiettivo fosse lo scalo ferroviario. Perdono la vita 122 persone e 3.000 restano senza casa.

I monumenti danneggiati

Durante l’attacco del 13 maggio 1944 vengono distrutti alcuni gioielli architettonici tra cui villa delle Pentetorri (o villa Rainusso, dal nome del suo ultimo proprietario), di cui oggi resta solo l’arco d’ingresso all’interno del Parco XXII Aprile. Dove ora si trova l’area verde, prima del bombardamento sorgeva un luogo di villeggiatura progettato nel 1652 dall’architetto Gaspare Vigarani per volere del duca Francesco I. Una residenza costruita all’insegna dello sfarzo e dell’eleganza, tanto nella struttura architettonica, in cui spiccavano ben cinque torri, quanto nella cura degli ambienti interni e del vasto giardino circostante. Quest’ultimo cominciava proprio da quel settecentesco arco d’ingresso visibile ancora oggi, unico testimone della sontuosa reggia estense.

Medesimo destino tocca alla chiesa di San Salvatore, edificio a pianta quadrata risalente alla prima metà del XIII secolo. Proprio nello spazio oggi occupato dall’omonima piazzetta sorgeva l’antica chiesa, il cui perimetro è riconoscibile dai ciottoli più scuri. Dell’edificio di culto è sopravvissuto solo il campanile, con una grande finestra ogivale del Trecento, ancora oggi visibile in angolo con via dei Servi. All’interno del campanile è posta la statua della Beata Vergine Addolorata, unico ricordo rimasto di quanto è crollato sotto le bombe. La cappella dedicata alla Vergine conserva ancora il pavimento originale in cotto e l’unica testimonianza del patrimonio artistico perduto: un gruppo di terracotta policroma di Silvestro Reggianini della prima metà del XIX secolo, raffigurante la Pietà.

Sempre il 13 maggio 1944 fu colpito Palazzo Santa Chiara, sorto sul luogo di un antico convento delle Clarisse poi convertito in caserma. Nel 1944 il palazzo ospitava la Scuola allievi ufficiali della Guardia nazionale repubblicana. I bombardamenti ne hanno fatto crollare un lato, che non è più stato ricostruito e sul cui vuoto oggi si aprono le finestre interne. Come nel caso dell’oratorio di San Filippo Neri a Bologna, la ricostruzione a opera dell’architetto Pier Luigi Cervellati ha voluto lasciare in evidenza i segni della distruzione.
Nello stesso giorno una bomba colpì anche il Duomo, splendido esempio di arte romanica, progettato dall’architetto Lanfranco e impreziosito dalle sculture di Wiligelmo. Fu danneggiata una parte del muro e il primo portale, detto Porta dei Principi, ma per fortuna la bomba non esplose, così da risparmiare sia il Duomo che il rifugio antiaereo attrezzato nei sotterranei della piazza Grande. Un’area di mattoni rossi che interrompe la restante copertura di marmo bianco è la testimonianza di quel mancato sfregio.

Fu in pericolo anche il Palazzo Ducale, altro monumento simbolo di Modena, requisito dai tedeschi l’8 settembre del ’43 per diventare il loro presidio provinciale. Il palazzo, già residenza dei duchi estensi e sede della storica Accademia militare, ospitava nel ’44 l’ufficio politico investigativo della Guardia nazionale repubblicana, che utilizzava il sottotetto, dove erano state predisposte delle celle, per torturare i civili e i partigiani arrestati. Il Palazzo fu bersaglio di un bombardamento aereo: un ordigno colpì la facciata senza esplodere, ma due bombe distrussero gli ultimi piani della facciata ovest. I lavori di riparazione e ricostruzione realizzati nel 1946 furono completati all’inizio dell’anno successivo per consentire il rientro dell’Accademia Militare nella sua sede storica.

Il Sacrario partigiano

Cerimonia di commemorazione al Sacrario partigiano della Ghirlandina, Modena - foto Comune di Modena

Ai piedi della Ghirlandina, torre campanaria del Duomo e simbolo della città, un mosaico di ritratti fotografici in bianco e nero, ordinato in tre grandi teche, costituisce il “museo spontaneo” della Resistenza modenese, nato come manifestazione del dolore popolare e privo di intenti celebrativi. Dove oggi campeggiano centinaia di volti di partigiani caduti, all’indomani della Liberazione fu affissa per la prima volta una fotografia, unico effetto personale di un corpo non identificato ritrovato in quel punto, con la speranza che qualche passante potesse riconoscere il defunto.
Sull’onda di questo gesto, la popolazione iniziò a utilizzare il muro della torre per affiggervi le fotografie dei familiari dispersi o caduti durante la Resistenza, con la medesima speranza di ottenere qualche notizia. Inizialmente fissati a listelli di legno addossati al muro, dopo il 1946 i ritratti furono rimossi per far spazio ai manifesti elettorali: ricomparvero nel 1949, con 1.370 fotografie raccolte dall’ANPI - Associazione nazionale partigiani d’Italia.