Memoria Novecento

Forlì città

Forlì, palazzo degli Uffici statali - foto di Andrea ScardovaL’assetto urbanistico della città di Forlì è strettamente legato a Benito Mussolini e al suo interesse per la propaganda del regime, che anche attraverso l’architettura razionalista puntava a mitizzare i luoghi legati all’infanzia del Duce. La conquista del capoluogo romagnolo da parte alleata ebbe quindi un valore simbolico oltre che strategico nel percorso di sfondamento della Linea Gotica.

I BOMBARDAMENTI

Prima di essere liberato dagli inglesi il 9 novembre 1944, il capoluogo romagnolo fu bombardato sia dagli alleati che dai tedeschi a più riprese, e vide distrutti o gravemente danneggiati gran parte dei monumenti simbolo della città.
Il primo bombardamento, quello inglese del 19 maggio che costò la vita a 132 persone e fece 455 feriti, sorprese il centro città in un venerdì mattina di mercato. Vennero colpite case e piazze, scuole e fabbriche, oltre che la vecchia e la nuova stazione del Cittadone, fulcri dell’economia industriale e delle comunicazioni con il resto d’Italia.
Forlì, stazione ferroviaria - foto di Andrea ScardovaLa vecchia stazione di Forlì, costruita subito dopo l’Unità d’Italia, collegava Forlì a Bologna e Ancona, e aveva incentivato lo sviluppo di un vasto polo industriale attorno a essa, con fabbriche come Bartoletti (costruzione rimorchi), Becchi (stufe), Benini (edilizia), Eridania (zucchero), Forlanini (metallurgia) e Mangelli (tessile). La nuova stazione ferroviaria, realizzata nel biennio 1924-1925 dall’ingegnere Enzo Bianchi e ispirata agli scali delle grandi città come Milano o Verona Porta Nuova, fu anch’essa gravemente danneggiata nel suo corpo centrale. L’edificio è tuttora composto da un corpo lungo 78 metri, sviluppato su tre livelli. Sulla parte centrale, due torrette simmetriche inquadrano i tre grandi archi d’ingresso.
Forlì, Foro boario - foto di Andrea ScardovaA poca distanza venne colpito anche il Foro Boario, edificio in stile neoclassico progettato nel 1932 dall’architetto Arnaldo Fuzzi, con ordini giganti di colonne e grandi arcate. Il monumentale complesso comprendeva una sala contrattazioni per il mercato dei bovini, un bar, l’ufficio delle Poste e Telegrafi, l’ambulatorio e l’abitazione del veterinario.
Sempre il 19 maggio fu sventrato anche il Collegio aeronautico di piazzale della Vittoria, altro esempio di pregio dell’architettura razionalista. L’imponente edificio, progettato dall’architetto Cesare Valle e intitolato nel 1941 al figlio terzogenito del Duce, Bruno Mussolini (tragicamente morto in un’esercitazione di guerra alle porte di Pisa), ha una planimetria paragonabile solo ai collegi militari di Modena e Roma.
Il complesso si articola in due blocchi: il gruppo residenziale, sviluppato in un corpo a U lungo via Roma, su un fronte di circa 100 metri di lunghezza e per un’altezza corrispondente a quattro piani fuori terra, e il gruppo didattico sportivo sul piazzale della Vittoria, con altezze variabili da uno a tre piani fuori terra. Dentro l’enorme edificio dall’intonaco giallo sono conservate preziose decorazioni, in particolare l’Aula Mappamondi, l’Atrio delle Costellazioni e i mosaici in bianco e nero con la storia del volo.
Forlì, statua di Icaro - foto di Andrea ScardovaSullo stesso piazzale, realizzata in marmo bianco di Carrara e alta quasi cinque metri, si staglia una statua di Icaro realizzata nel 1941 dallo scultore romano Francesco Saverio Palozzi, che avrebbe il volto del giovane Bruno Mussolini.

I RAID AEREI SUL CENTRO CITTADINO

Un secondo grande bombardamento dilaniò la città il 25 agosto dello stesso anno, provocando 85 morti e alcune centinaia di feriti. Era scattata l’offensiva britannica contro la Linea Gotica, e mentre le truppe di terra cercavano di sfondare le trincee all’altezza della costa, l’aviazione doveva tagliare le comunicazioni stradali e ferroviarie e danneggiare il nemico. Una formazione di aerei sudafricani, pur avendo come obiettivo i raccordi delle ferrovie, sbagliò bersaglio e colpì piazza Saffi e il centro città.
Forlì, statua di Aurelio Saffi - foto di Andrea ScardovaLa statua di Aurelio Saffi, che era stata eretta nel 1921 e che era simbolo della tradizione repubblicana di Forlì, fu gravemente danneggiata e quindi smontata, per essere ripristinata al centro della piazza solo nel 1961.
Sulla stessa piazza, subirono il crollo di muri interni e ampi squarci alle facciate il palazzo delle Poste e il palazzo degli Uffici statali, entrambi progettati dall’architetto romano Cesare Bazzani e risalenti agli anni Trenta.
Forlì, palazzo delle Poste - foto di Andrea ScardovaIl palazzo delle Poste fu costruito nel 1932 su un impianto rettangolare, con un doppio ordine di arcate a tutto sesto, due torrette laterali e un profondo portico che dà sulla piazza. Furono utilizzati per la sua costruzione marmo travertino e mattoni in cotto, a regalare all’edificio un’aria quasi cinquecentesca.
Sul lato opposto, nove anni più tardi fu eretto il palazzo degli Uffici statali, voluto con forza dallo stesso Mussolini per garantire alla città una sede locale dei ministeri di finanze, lavori pubblici e foreste. Nella progettazione del palazzo, l’architetto Cesare Bazzani aveva ricercato una mediazione tra la tendenza razionalista e l’architettura romana classica, come dimostra il grande porticato che ricorda, per dimensioni e struttura, gli antichi acquedotti. L’edificio occupa tuttora un intero isolato per circa 90 metri di lunghezza e si sviluppa su 4 piani in altezza.
Forlì, abbazia di San Mercuriale - foto di Andrea ScardovaAnche l’abbazia di San Mercuriale, monumento simbolo della città, con l’altissimo campanile preso a modello per la costruzione di quello di San Marco a Venezia, fu sventrata dalle bombe: i danni alla chiesa dedicata al primo vescovo della città risultarono talmente gravi da indurre il Genio Civile a ordinare la demolizione delle volte della navata centrale, realizzate tra Cinque e Settecento. Riapparvero così le travi lignee del tetto e le aperture laterali risalenti al XIII secolo.
Nelle commemorazioni di quel drammatico 25 agosto si ricorda tuttora l’eroico don Pippo, al secolo monsignor Giuseppe Prati, che come parroco dell’abbazia trascorse l’intera giornata a raccattare brandelli di carne umana sui muri e sul selciato della piazza, per poi dare loro pietosa sepoltura in una fossa comune allestita al Cimitero monumentale.
Per finire, su piazza Saffi si affaccia anche palazzo Albertini, un edificio in stile veneziano risalente al 1400 e appartenuto a una dinastia di farmacisti, gli Albertini. Durante il ventennio fascista, l’edificio fu adibito a Casa del Fascio e ospitò la sezione forlivese del partito nazionale fascista.

LE FORCHE IN PIAZZA

Forlì, palazzo Albertini - foto di Andrea ScardovaDi fronte a palazzo Albertini si trovano ancora due lampioni che il 18 agosto del 1944 furono trasformati in forche per sorreggere i corpi straziati e senza vita di quattro giovani partigiani: Silvio Corbari, Iris Versari, Arturo Spazzoli e Adriano Casadei.
La banda Corbari, che fu anche il soggetto per un film del 1970 con Giuliano Gemma, si era distinta fin dal gennaio del ‘44 per attacchi e imboscate ai danni di tedeschi e repubblichini. In particolare, era diventata fisicamente e simbolicamente pericolosa per gli occupanti dopo l’uccisione di Gustavo Marabini, esponente di spicco del partito fascista romagnolo.
La caccia alla banda Corbari, che aveva base sull’Appennino faentino nei pressi di Tredozio, si concluse il 17 agosto del 1944 in un conflitto a fuoco. Lì Iris Versari, compagna di Silvio, si suicidò dopo essere stata ferita per non essere di intralcio ai suoi compagni, Corbari e Casadei furono trasferiti a Castrocaro e impiccati, mentre Spazzoli morì durante il tragitto per Castrocaro.
I corpi dei quattro partigiani furono in seguito portati a Forlì e appesi a scopo intimidatorio per alcuni giorni ai lampioni della piazza centrale.

I DANNI DEI TEDESCHI IN FUGA

I palazzi e le chiese del centro storico sarebbero stati minati ancora e a più riprese dai Tedeschi, sia durante la ritirata del 9 novembre che un mese dopo, il 10 dicembre. Durante la notte della ritirata, varie esplosioni fecero crollare le costruzioni più alte intorno a piazza Saffi: la torretta degli Uffici statali, il campanile del Duomo, il torrione dell’Acquedotto e la Torre dell’orologio (che rovinando a terra distrusse l’antico Teatro comunale). Fu minato, ma fortunatamente non saltò in aria, anche il campanile di San Mercuriale. Crollò il ponte di Schiavonia, una costruzione a tre archi sul fiume Montone realizzata sul modello del Ponte Vecchio di Cesena.
A un mese dalla liberazione, il 10 dicembre del 1944, tre aerei tedeschi sorvolarono ancora la città del Duce sperimentando per la prima volta l’effetto delle bombe a caduta libera. Quest’ultima incursione aerea costò, oltre a un centinaio di morti, la distruzione della chiesa più ricca della città, oggi completamente ricostruita. La chiesa di San Biagio era una basilica quattrocentesca voluta da Caterina Sforza, signora della città di Forlì, in onore dell’amante Giacomo Feo, ucciso in una congiura nel 1495 e lì sepolto. Con i bombardamenti andò perduta anche la cappella gentilizia decorata dai magnifici affreschi di Marco Palmezzano e Melozzo da Forlì.
Si salvarono dal rogo il Trittico quattrocentesco di Marco Palmezzano con la Madonna in Trono e Santi, l’Immacolata Concezione di Guido Reni realizzata nel 1627, un’acquasantiera in marmo bianco e il sepolcro funebre di Barbara Manfredi, scolpito nel 1466 da Francesco di Simone Ferrucci e ricollocato al termine dei restauri nell’abbazia di San Mercuriale.

GLI ECCIDI DELL’AEROPORTO

Un’altra terribile pagina della storia cittadina è legata agli eccidi avvenuti nei pressi dell’aeroporto Luigi Ridolfi, inaugurato nel 1936 come il maggiore aeroporto militare d’Italia.
La grandiosa infrastruttura comprendeva una palazzina di comando, officine, caserme, uffici, centrale elettrica, aviorimesse e mensa collegati da un sistema di viali che tagliavano quattro ettari di giardino con diecimila piante e arbusti. La pista di atterraggio misura tuttora due chilometri e mezzo. In tempo di guerra, l’aeroporto fu utilizzato come scalo dei reparti dell’aeronautica tedesca, fino alla Liberazione di Forlì del 9 novembre 1944, e successivamente come base per gli aerei dell’aviazione inglese e polacca.
Nel settembre del ‘44 l’aeroporto divenne uno dei luoghi in cui i tedeschi iniziarono ad applicare la Soluzione finale, ossia il piano teorizzato da Hitler di eliminazione fisica degli ebrei e degli oppositori politici. Poiché le linee ferroviarie inagibili, le strade danneggiate e i ponti distrutti rendevano impraticabile il trasferimento dei prigionieri nei campi di sterminio, le fucilazioni di massa sul posto sembrarono un’alternativa accettabile per il progetto scientifico di sterminio della popolazione ebraica. L’uccisione di 42 persone, con conseguente seppellimento in buche prodotte da bombe di aereo, si consumò in diverse giornate: il 5, il 6, il 17 e il 25 settembre 1944. Furono complessivamente 18 le vittime di religione e cultura ebraica, e 24 gli antifascisti e partigiani prelevati dal carcere della città e giustiziati a Ronco di Forlì.
A memoria di questi terribili eventi ci sono in città il cippo in via Seganti e le più recenti epigrafi al Cimitero Monumentale di Forlì, in cui sono riportati i nomi di tutte le vittime.

I CIMITERI

Forlì, Cimitero degli Inglesi - foto di Andrea ScardovaI segni della guerra e del suo prezzo altissimo sono evidenti nel due cimiteri di guerra ospitati in città, e gestiti dalla Commonwealth war grave commission con sede a Roma.
Il Cimitero degli Inglesi fu individuato in località Vecchiazzano fin dal novembre 1944, dopo che l’ottava armata britannica aveva preso Forlì e aveva necessità di dare sepoltura ai soldati morti nei combattimenti tra Rimini e Ravenna. Custodisce le spoglie di 738 caduti, di cui 4 ancora ignoti, provenienti da Gran Bretagna, Canada, Nuova Zelanda, Sudafrica, India e Seychelles.
Forlì, Cimitero indiano - foto di Andrea ScardovaIl Cimitero indiano, che sorge di fronte al cimitero monumentale di Forlì, ospita 493 caduti, di cui 15 ignoti, appartenuti alla quarta, ottava e decima divisione dell’esercito indiano. Altre 3 tombe sono di militari inglesi. Un enorme monumento realizzato nel 2011 dallo scultore bulgaro Stefan Popdimitrov ritrae tre soldati in bronzo con il turbante sikh, di cui uno in piedi con un drappello e un fucile, e altri due momentaneamente abbassati perché uno soccorre l’altro, ferito.

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ultima modifica 2024-01-11T18:01:05+02:00
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