Forlì-Cesena provincia

A partire dall’ottobre del ’43, il territorio montuoso compreso tra i fiumi Savio e Bidente fu scelto dai tedeschi per la costruzione della Linea Gotica. La Todt, l’organizzazione paramilitare incaricata dei lavori, reclutò manodopera sul posto garantendo inizialmente una paga e l’immunità dalle intimidazioni di repubblichini e tedeschi.
In contemporanea, sia nel forlivese che nel cesenate si formarono gruppi armati costituiti da antifascisti, ex garibaldini e ribelli con l’intento primario di sabotare il nemico occupante: era la Resistenza delle montagne, che radunava brigate di quasi duemila elementi a Pieve di Rivoschio (l’8ª brigata Garibaldi Romagna) e la pericolosa banda di Aldo Celli e Silvio Corbari a Ca’ Cornio (tra Modigliana e Tredozio).

LA POLITICA DEL TERRORE

Dopo la conquista di Roma da parte degli Alleati, vissuta in maniera traumatica dai tedeschi e dalle camicie nere, i rastrellamenti in Appennino rispondevano al duplice obiettivo di reperire manodopera coatta per la fortificazione della Gotica e di reprimere i partigiani che rendevano insicure e difficili le operazioni militari e logistiche.
Gli ordini impartiti dal feldmaresciallo Kesselring, comandante delle truppe d’occupazione tedesche in Italia, prevedevano che “laddove c’erano numeri considerevoli di gruppi partigiani, una parte della popolazione maschile di quell’area doveva essere arrestata. Nel caso in cui fossero stati commessi atti di violenza, questi uomini sarebbero stati uccisi”.
Il confine fra arresto, deportazione, stupro e omicidio fu drammaticamente superato in varie occasioni, e spesso sfociò in strage di civili dai contorni tuttora incerti e impuniti. A testimonianza di quelle stragi, nella provincia che diede i natali al Duce (e che fino al 1992 comprendeva anche alcuni comuni poi confluiti sotto la giurisdizione di Rimini), restano oggi vari luoghi di memoria coordinati dall’Istituto storico di Forlì-Cesena.
Tavolicci - foto Istituto per la storia della resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Forlì-CesenaDi questi luoghi, Tavolicci è sicuramente il più rappresentativo, con il suo carico di violenza contro donne e bambini. In questo piccolo borgo montano del comune di Verghereto, ai piedi del monte Fumaiolo, la notte del 22 luglio 1944 una squadra di agenti italo-tedeschi rastrellò la popolazione, radunando donne e bambini nella stanza di una casa al centro del paese. I capifamiglia vennero legati, portati in piazza e costretti ad assistere al massacro, mentre gli uomini vecchi e invalidi furono uccisi sulla soglia delle loro abitazioni. Donne e bambini furono uccisi a colpi di mitragliatrice dentro quella stanza, successivamente incendiata per nascondere le tracce del massacro, mentre gli uomini arrestati furono trascinati a Campo del Fabbro, a circa due chilometri di distanza, dove furono orrendamente massacrati e uccisi. Complessivamente, furono assassinate 64 persone, tra cui 19 bambini di età inferiore ai 10 anni.
La casa dell’eccidio, restaurata e arredata come un tempo, ospita la mostra fotografica permanente “Stragi e uccisioni in provincia di Forlì”, la ricostruzione di alcuni ambienti che raccontano la vita quotidiana delle popolazioni montane, le opere in rame dello scultore Lucio Cangini e i quadri donati da artisti locali in occasione del 50° anniversario della strage.

I RASTRELLAMENTI

Ca’ Cornio - foto Istituto per la storia della resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Forlì-CesenaNel territorio di Modigliana, anch’esso al confine con la Toscana, si trova Ca’ Cornio, ultimo rifugio del leggendario Silvio Corbari che qui venne sorpreso, assieme ad altri tre partigiani, il 18 agosto 1944 da soldati fascisti e tedeschi: Corbari e Arturo Spazzoli vennero feriti e catturati, la compagna Iris Versari si suicidò, mentre il quarto elemento, Adrano Casadei, pur potendo fuggire, rimase accanto al comandante ferito e si lasciò arrestare. Corbari e Casadei vennero poi impiccati ai lampioni di piazza Saffi a Forlì, dove rimasero appesi per giorni assieme ai cadaveri di Versari e Spazzoli.
Il casolare di Ca’ Cornio è stato restaurato e affidato alla gestione di Agesci (Associazione Scout cattolici italiani). All’interno della legnaia e in una bacheca esterna sono posti pannelli illustrativi che raccontano la storia della banda Corbari. È inoltre possibile fare escursioni sui sentieri dedicati a Silvio Corbari e ai partigiani del suo gruppo.

Sempre in quel terribile agosto 1944, i rastrellamenti alla ricerca di partigiani coinvolsero Pieve di Rivoschio, Civitella e Meldola. I partigiani riuscirono a sfuggire all’accerchiamento, ma i tedeschi, insieme a SS italiane, compirono uccisioni indiscriminate di singoli civili, poi rastrellarono circa 180 uomini e li radunarono in un capannone presso la fornace Bisulli di Meldola.
Gli uomini catturati lungo l’asse Cusercoli-Pieve di Rivoschio (che coincideva con i luoghi di insediamento dei comandi dell’8ª brigata) vennero separati dagli altri e sottoposti a pesanti interrogatori e torture. Il 21 agosto, diciotto uomini furono prelevati dalla fornace e costretti a scavare alcune fosse, in cui i tedeschi occultarono i loro corpi dopo averli fucilati.
Meldola, Cippo La Fornace - foto Istituto per la storia della resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Forlì-CesenaA memoria di quell’episodio, all’ingresso di Meldola si trova il cosiddetto Cippo La Fornace, una stele in pietra di forma oblunga con i nomi delle 18 vittime. Nella parte alta del cippo è presente una stella, simbolo dell’VIII Brigata Garibaldi, mentre nella lunetta è raffigurata una fanciulla (forse a rappresentare la Vittoria Alata) che porge ai tre caduti la palma del martirio.
A Pieve di Rivoschio una lapide ricorda le vittime dello stesso, tragico, rastrellamento all’interno del Parco della Pace e della Resistenza mentre a Sorbano (altra frazione del comune di Sarsina) è presente una scultura di Ilario Fioravanti che riporta a un altro martirio, avvenuto il 28 settembre 1944. In quel luogo, che dagli anni 70 ospita il Parco della Resistenza, un complesso che comprende anche sentieri turistici e un tempio votivo, furono fucilati 16 uomini che erano stati prelevati come ostaggi dai nazisti a Sarsina. Dei condannati, sei riuscirono a sopravvivere all’esecuzione. A memoria di quella rappresaglia, la scultura di Fioravanti rappresenta una figura umana martoriata.

Le rappresaglie tra nazifascisti e partigiani sono all’origine anche dell’eccidio del Passo del Carnaio, valico appenninico che collega le valli del Bidente e del Savio: sulla strada che collega San Piero in Bagno a Santa Sofia i partigiani dell’8ª brigata Garibaldi Romagna avevano ucciso tre militari tedeschi tra il 23 e il 24 luglio 1944. Il giorno dopo i nazisti rastrellarono circa 70 persone, per la maggior parte donne e bambini, per vendicare i loro compagni morti, dopo aver incendiato e saccheggiato le loro abitazioni.
San Piero in Bagno - foto Istituto per la storia della resistenza e dell’Età Contemporanea della provincia di Forlì-CesenaIl numero previsto degli ostaggi da fucilare venne raggiunto prelevando alcuni anziani dalla casa di riposo di San Piero. Sotto un’enorme quercia secolare, poi essiccatasi negli anni Ottanta, furono fucilati in tutto 26 uomini, tra cui un ragazzo che aveva tentato la fuga e fu impiccato a un palo del telegrafo. I cadaveri furono sepolti sommariamente nei pressi della quercia, dove rimasero fino al settembre 1945, quando furono riportati nel cimitero di San Piero. Dal 2020 all’interno della cappella monumentale è stato eretto un Sacrario con i nomi e l’età delle vittime incisi su foglia d’oro.
In seguito a quella strage (e agli altri avvenimenti luttuosi di quelle settimane) si aprì una discussione in seno all’8ª brigata Garibaldi Romagna sull’opportunità delle azioni partigiane e sulle modalità con cui condurle. La discussione terminò con la fuoriuscita di un gruppo di giovani che ritenevano che l’attività partigiana esponesse eccessivamente a rischio i civili.
Dal canto suo l’8ª brigata si fece promotrice delle prime inchieste sulle stragi e si impegnò a individuare prime forme di risarcimento ai familiari delle vittime.

IL CIMITERO DI GUERRA

Sul campo di battaglia di Meldola, nei pressi di un ponte che fu teatro di guerra fra le truppe inglesi e tedesche, si trova un altro cimitero inglese. Vi riposano 145 soldati morti negli scontri avvenuti fra ottobre e novembre 1944 per la liberazione della Vallata del fiume Bidente.
La sua struttura architettonica è simile a quella degli altri cimiteri del Commonwealth: su un piedistallo ottagonale svetta la croce dedicata al sacrificio dei soldati; le lapidi si susseguono tutte uguali, senza distinzione di grado militare, classe sociale o razza. Meldola fu liberata il 25 ottobre 1944 e nel mese successivo la 46ª Divisione Inglese e la 4ª Divisione USA avanzarono verso il fiume Lamone.

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ultima modifica 2024-01-16T10:13:11+01:00
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