Cesena città
Il passaggio del fronte di guerra su Cesena stravolse profondamente l’assetto della città malatestiana, che durante gli otto mesi di incursioni aeree dovette non solo sopportare la distruzione di palazzi, ponti e chiese, ma anche attrezzarsi per vivere nel sottosuolo al riparo dalle bombe. Si calcola che tra il 13 maggio 1944 (data del primo bombardamento sulla città) e l’11 dicembre 1944 (data dell’ultimo raid per mano tedesca, a città ormai liberata), furono in tutto 76 gli attacchi aerei su Cesena, con 700 vittime e 1.800 feriti e mutilati.
IL SISTEMA DEI RIFUGI
Fin dal 1941 i cesenati si erano attrezzati per adibire vari luoghi pubblici e privati a rifugio antiaereo, privilegiando i sotterranei dei palazzi nobiliari e delle chiese, ma costruendo gallerie anche al piano terra del Municipio o all’interno del vecchio acquedotto. Nel 1944 fu scavato perfino un rifugio pubblico nel colle della Rocca per una capienza di 800 persone. Coperto da volte a botte, il rifugio si estendeva per 65 metri e aveva due ingressi protetti da archi rampanti, con funzione di paraschegge. All’interno erano presenti l’infermeria, l’alloggio dei pompieri e del capo-ricovero, due latrine e sedute in legno per 290 persone. Il ricovero era fornito anche degli impianti d’illuminazione (normale e di sicurezza), idraulico e telefonico (poi asportato dai tedeschi) e del camino di ventilazione che, usato anche come uscita di sicurezza, termina nel soprastante parco della Rimembranza.
Ugualmente attrezzati, anche se più piccoli, furono il Duomo della città, la chiesa di Santa Cristina e quella di San Rocco. Il Duomo, con facciata romanica e interno gotico, voluto da Galeotto Malatesta come cattedrale della città all’incrocio tra l’antica via Emilia e la via del sale che conduceva a Cervia, offriva al pubblico ben due rifugi: uno nel campanile quattrocentesco progettato dal maestro Maso di Pietro di Lugano e uno sotto l’altare, nella sala capitolare poi demolita. Il campanile era particolarmente adatto a questo utilizzo sia per il notevole spessore dei muri che per la limitata area occupata. La sua campana, inoltre, veniva utilizzata in caso di pericolo come ausilio alle sirene della città.
Allo stesso modo il campanile della Chiesa di san Rocco venne adibito a rifugio antiaereo, e la campana utilizzata come allarme ausiliario in caso di mancanza di corrente elettrica. La chiesa fu rasa al suolo assieme a tutto il borgo San Rocco nel settembre del ’44, dagli Alleati che cercavano di mettere in fuga le truppe tedesche appostate vicino al Ponte Vecchio. Non è mai stata ricostruita e oggi rimane, a memoria di quegli eventi, il solo campanile ottocentesco con una scritta lapidea.
Anche la cripta della chiesa di Santa Cristina fu rafforzata e resa agibile per ospitare fino a duecento rifugiati: uno dei gioielli neoclassici della città, edificato per volontà del papa cesenate Pio VII Chiaramonte e progettato da Giuseppe Valadier sul modello circolare del Pantheon, diventò in quegli anni un rifugio asciutto e sicuro per molti civili.
Sul colle Spaziano, poco distante dal centro cittadino, fu convertita a rifugio anche l’Abbazia di Santa Maria del Monte. L’antico monastero, la cui fondazione risale all’undicesimo secolo da parte di San Mauro, vescovo di Cesena, ha una struttura a quadrilatero di impianto rinascimentale che comprende la Chiesa, il Monastero e due chiostri.
In tempo di guerra, i frati benedettini realizzarono nei sotterranei del complesso una galleria accessibile tramite un pozzo, ampliata con grotte ricavate nel tufo. Lì furono ospitate negli anni circa settecento persone che dovevano scampare ai bombardamenti degli alleati, oppure ai rastrellamenti di tedeschi e fascisti. Si distinse in particolare in questa attività di protezione delle famiglie ebree il monaco don Odo Contestabile, che nel 1943 salvò due famiglie di ebrei accompagnandole al confine con la Svizzera. Don Contestabile è stato riconosciuto dal 2019 come Giusto tra le nazioni.
Oltre alle famiglie di sfollati, i sotterranei dell’Abbazia custodirono anche molti libri della Biblioteca Malatestiana, sebbene i manoscritti più preziosi fossero stati portati nel modenese sin dall’inizio del conflitto.
Tra il 16 e il 19 ottobre l’Abbazia fu colpita ripetutamente e direttamente dai bombardamenti, che sventrarono la chiesa e causarono il crollo di una parte del monastero. A differenza però del bombardamento alleato sull’abbazia di Montecassino (15 febbraio dello stesso anno), in questo caso non si registrarono vittime tra gli oltre settecento sfollati. Si gridò al miracolo compiuto dalla Madonna, alla quale furono offerte due tavolette votive a testimonianza della grazia ricevuta.
I BOMBARDAMENTI
Il primo massiccio bombardamento su Cesena si registrò il 13 maggio 1944 e causò una strage di civili (oltre 100 morti e 150 feriti), l’interruzione di varie strade e la parziale distruzione della chiesa di San Pietro, poco distante dalle mura cittadine. In quell’occasione andarono perduti un quadro di San Pietro opera di Federico Zuccari, un dipinto di Sant’Elia profeta opera di Corrado Giaquinto, e l’organo. L’edificio, risalente alla fine del XVIII secolo e già costruito sulle spoglie di un monastero camaldolese, subì un secondo bombardamento il 18 ottobre e venne recuperato solo trent’anni dopo, con una profonda ristrutturazione da parte dello scultore Ilario Fioravanti. L’artista cesenate, che in questo caso ripensò anche l’architettura della chiesa, realizzò l’altare, l’ambone e la croce processionale modificando profondamente il presbiterio. Sono sue opere inoltre le sette vetrate e la statua di San Pietro posta all’esterno della chiesa.
Il 29 giugno fu invece la volta del bombardamento della stazione, posta strategicamente nei pressi della fabbrica alimentare Arrigoni e della raffineria Montecatini, che lavorava lo zolfo grezzo. I tre punti nevralgici della città furono incendiati e danneggiati, e nuovamente presi di mira nei raid successivi del 25 luglio, 8 agosto, 2 e 9 settembre.
Gli stessi luoghi furono in contemporanea teatro di scontri tra fascisti e partigiani, che saccheggiavano le fabbriche danneggiate dalle bombe al fine di sottrarre rifornimenti all’esercito occupante.
Altri obiettivi strategici dei bombardamenti, prima degli alleati e poi dei tedeschi in ritirata, furono il Ponte Nuovo e il Ponte Vecchio di Cesena. Entrambi i ponti congiungono le due sponde del fiume Savio lungo la rotta della via Emilia. Il ponte Nuovo, o del Risorgimento, era stato costruito solo pochi anni prima (tra il 1914 e il 1919), mentre il secondo attraversava il fiume nel suo punto più stretto fin dall’epoca romana. Ponti di legno e poi di pietra (sotto Novello Malatesta) erano stati costruiti nei secoli in quel punto sul Savio, ma le piene del fiume ne avevano sempre causato il crollo. Finalmente nel 1733, per volere del Papa Clemente XII, fu progettato un ponte in mattoni con tre archi a sesto ribassato. La struttura fu completata solo quarant’anni dopo, con rinforzi in pietra d’Istria sui due pilastri centrali e decorazioni in marmo, e vide tra i suoi progettisti anche Ferdinando Fuga e Luigi Vanvitelli.
Il 20 ottobre del ’44, con l’ingresso degli Alleati in città, i nazisti minarono l’arcata centrale del ponte Vecchio, che crollò, e si attestarono al di là del fiume, ingrossato dalle forti piogge. A liberazione avvenuta, la viabilità sul Savio venne assicurata temporaneamente con un ponteggio Bailey, ma già nel 1946 il ponte risultava ricostruito a opera degli Alleati: un piccolo stemma sull’interno del parapetto riporta il simbolo dell’Ottava Armata.
IL CIMITERO
Nel quartiere di Sant’Egidio, Cesena ospita il suo cimitero militare, dove riposano 775 soldati dei paesi Commonwealth caduti tra il settembre e il dicembre 1944.
Come per gli altri cimiteri del Commonwealth, il progetto architettonico è opera dell’inglese Louis de Soissons.
L’ingresso è costituito da muretti di mattoni e da un basso cancello in ferro battuto, tra due colonne sormontate da anfore in marmo con le date 1939 e 1945. Sui muretti laterali la scritta CESENA WAR CEMETERY. Si attraversa poi un tappeto d’erba fino a una bassa costruzione sovrastata da un piccolo tempio in stile neoclassico all’interno del quale, in un tabernacolo, è possibile consultare il registro con l’elenco dei caduti e il libro dei visitatori.
Una lapide ricorda, sia in italiano che in inglese, che “il suolo di questo cimitero è stato donato dal popolo italiano per l’eterno riposo dei marinai, soldati, aviatori alla cui memoria qui è reso onore”.
Dalla cappella si accede al vasto prato su cui sono allineate lunghe file di lapidi bianche di uguali dimensioni, senza differenze di gerarchia militare. Le tombe sono intervallate da piante e fiori, soprattutto rose rosse. Al centro del prato si trova una grande Croce in marmo bianco con una spada in bronzo sulla trave verticale.
I SEGNI DELLA RESISTENZA
Il grande loggiato del Palazzo comunale, la cui struttura risale a un ampliamento settecentesco di Palazzo Albornoz (dal nome del cardinale che lo eresse su piazza del Popolo nel 1359) conserva sotto le sue volte a crociera varie lapidi celebrative, con ritratti a bassorilievo di personaggi illustri cesenati. Le opere sono degli scultori Tullio Golfarelli e Paolo Grilli, e riprendono l’idea rinascimentale del Pantheon.
Sulla parete destra, dietro il busto di Garibaldi, sono incise due iscrizioni che inneggiano agli ideali della Resistenza e ricordano le atroci sofferenze dei martiri uccisi per affermare quegli ideali. Sono poi riportati i nomi di 126 partigiani cesenati uccisi.
Sotto lo stesso Loggiato è presente la lapide che ricorda la Medaglia d’Argento al valor militare assegnata alla città per i sacrifici della sua popolazione e per l’attività partigiana svolta nei 14 mesi di occupazione nazifascista. A qualche metro di distanza, un’altra pietra è dedicata alla memoria di Gastone Sozzi, dirigente del Partita Comunista d’Italia, ucciso nelle carceri fasciste nel 1928.
La Rocca malatestiana, i cui sotterranei erano stati convertiti a rifugio negli anni Quaranta, era in parte adibita a carcere fin dal XVIII secolo, e fu casa mandamentale anche durante il periodo di occupazione nazifascista della città. La fortezza tardomedievale fu teatro di due incursioni partigiane che liberarono alcuni prigionieri politici (il 10 febbraio e il 15 maggio del ’44), ma anche di spietate fucilazioni.
In particolare il 4 settembre nello Sferisterio (il campo per il gioco del pallone costruito fino dal 1800 sulla zona muraria che congiunge la Rocca Vecchia e la Rocca Nuova) furono fucilati otto antifascisti, e nel maggio del 1945, a liberazione avvenuta, furono uccisi 17 detenuti, tra cui alcuni membri della Repubblica di Salò che erano stati precedentemente arrestati.
Alla memoria dei Caduti per la Resistenza a Cesena è dedicata la scultura in bronzo di Ilario Fioravanti, in viale Carducci, a ridosso delle mura cittadine. Inaugurata nel 1974, raffigura una madre che sorregge sulle spalle il figlio ferito.
Sul basamento è scolpita la poesia di Salvatore Quasimodo che recita: “E come potevamo noi cantare/ con il piede straniero sopra il cuore/ Alle fronde dei salici…”.