Bologna città
Nel corso del conflitto, Bologna rappresentava un obiettivo strategico di primaria importanza: situata nel cuore della Pianura Padana, la città era un nodo cruciale sia per i collegamenti ferroviari e stradali tra il Nord e il Centro della penisola, sia per la presenza di importanti centri industriali convertiti dai tedeschi a uso militare. Questi fattori, insieme alla necessità degli Alleati di rallentare i movimenti dell’esercito nazifascista, fecero della stazione e della centrale di smistamento dell’energia elettrica di Santa Viola gli obiettivi principali delle bombe aeree. Alle ragioni di carattere militare si aggiungeva poi l’uso puramente terroristico dei bombardamenti, con attacchi ai centri abitati per fiaccare il morale della popolazione.
I risultati furono drammatici: tra il 16 luglio 1943 e il 22 aprile 1945 Bologna subì complessivamente 94 attacchi aerei, che causarono la morte di circa 2.500 civili, la distruzione di migliaia di edifici e danni incalcolabili al patrimonio storico e artistico, tanto più gravi se si tiene conto (per dirla con le parole di Alfredo Barbacci, soprintendente ai beni artistici e culturali dell’epoca), “che i centri antichi vanno considerati un’unica opera d’arte, e che il carattere di una città non è dato soltanto dai pochi monumenti illustri, ma anche e soprattutto dal loro tessuto connettivo formato dall’architettura minore e dalle relative composizioni ambientali”.
La protezione dei monumenti
Già nel 1940 era stato predisposto un piano di protezione antiaerea per i principali monumenti di Bologna. Nella basilica di San Petronio, per esempio, vennero smontate cinque vetrate di pregio, poi ricoverate nei sotterranei, mentre la facciata fu protetta con un trinceramento in muratura. La Fontana del Nettuno fu coperta con una struttura in legno, sulla cui parete era raffigurata una grande mappa del centro cittadino con la dislocazione dei rifugi antiaerei; la statua del dio del mare, invece, venne rimossa e ricoverata in un deposito comunale. Altri monumenti, come la pala marmorea della basilica di San Francesco e l’arca di San Domenico, furono inizialmente protetti in loco con impalcature in mattoni rivestite da sacchi di sabbia, ma poi smontati e trasferiti in campagna dopo il primo attacco aereo.
Il bombardamento del 24 luglio 1943
Il 24 luglio 1943 Bologna subì il primo bombardamento da parte delle forze americane partite dall’Algeria. L’attacco, mirato a colpire la stazione ferroviaria, causò danni ingenti anche al centro cittadino. Centinaia di civili persero la vita e diversi edifici storici furono distrutti, tra cui l’Ospedale Maggiore della città, allora collocato in via Riva di Reno. Della facciata del grande nosocomio, tra i più moderni d’Italia, rimase illesa la lunetta di Tullio Golfarelli, ricollocata davanti al nuovo Ospedale ricostruito fuori porta Saffi alla fine della guerra.
Nello stesso attacco fu gravemente danneggiata anche la chiesa gotica di San Francesco. Di essa, colpita nuovamente il 22 marzo 1944, crollarono otto campate della navata centrale, quattro della navata destra e sei della sinistra, gran parte della sommità della facciata e circa metà del lato del chiostro dei morti.
Poco distante, in via Ugo Bassi, venne colpito l’Hotel Brun, uno dei più noti ed eleganti alberghi della città. Il palazzo, fatto costruire nel 1491 da Francesco Ghisilieri, era ornato di finissime terrecotte ed era stato restaurato nel 1911 da Alfonso Rubbiani. Con il bombardamento del 24 luglio ’43 rovinò la parte centrale della facciata. Alla fine della guerra su quell’area venne costruito un edificio moderno, dotato di una galleria commerciale all’interno. L’unica traccia dell’antica bellezza si conserva all’angolo tra via Ugo Bassi e via Testoni.
Un colpo distrusse l’angolo sud-ovest del Palazzo del Comune; il monumento funebre di Rolandino de’ Passeggeri, maestro di arte notarile, che si innalza al centro di piazza San Domenico, fu centrato da una bomba e polverizzato. L’incursione americana costò nel complesso 163 morti e circa 300 feriti, e fu seguita da altri bombardamenti ancora più gravi che colpirono la città dopo l’armistizio di Cassibile.
L’incursione del 25 settembre 1943
Il 25 settembre 1943 Bologna subì l’incursione aerea più disastrosa di tutta la guerra, soprattutto dal punto di vista delle vittime civili. Si accertarono 936 morti e più di mille feriti, ma molti altri individui, letteralmente polverizzati dalle esplosioni, risultarono dispersi. Testimoni ricorderanno di aver visto “persone che erano morte per lo spostamento dell’aria ed erano come delle statue sotto i portici, in piedi, tutte bianche, spiaccicate ferme contro i muri”.
Oltre 500 edifici furono distrutti, tra cui il teatro Verdi, l’arena del Sole, il teatro Apollo, il cinema Italia, lo Sferisterio, la nuova sede del “Resto del Carlino” in via Dogali, dove morirono sette operai. Tra i monumenti colpiti anche le chiese del Sacro Cuore, quelle di San Martino e Santa Maria Maggiore e, nuovamente, quella di San Francesco. La chiesa di San Carlo in via del Porto fu gravemente danneggiata, con il crollo della volta e gravi lesioni all’interno. Centinaia di persone trovano la morte in un rifugio di fortuna ricavato in un tratto sotterraneo del canale Cavaticcio, tra le odierne vie Marconi e Leopardi, centrato in pieno da alcuni ordigni.
Il bombardamento del 25 settembre provoca un grande esodo di popolazione civile da Bologna: migliaia di profughi scappano sulle colline o in campagna, trovando rifugi provvisori presso parenti e amici. Quello stesso giorno, nei pressi del portico del Palazzo della Mercanzia, cade una bomba che rimane inesplosa: due giorni dopo un sottufficiale tedesco decide di farla brillare, nonostante il parere contrario di molti. Durante l’operazione il lato orientale dell’antico edificio viene distrutto quasi completamente. I lavori di ripristino, celebrati dal regime con francobolli celebrativi, saranno effettuati dal Genio Civile nel maggio del 1944, in piena guerra, e completati tra il 1946 e il 1948 dalla Soprintendenza ai monumenti guidata da Alfredo Barbacci.
Il bombardamento del 29 gennaio 1944
L’attacco portato a segno il 29 gennaio fu uno dei più pesanti della guerra e quello che produsse i maggiori danni al patrimonio monumentale felsineo: in tre successive ondate, tra le 11 e le 13, la città fu sorvolata da 80 aerei americani che sganciarono bombe destinate alla stazione ma atterrate in pieno centro storico. Fu colpito il cinquecentesco palazzo dell’Archiginnasio, cuore dell’Alma Mater Studiorum, con le migliaia di volumi e incunaboli al suo interno, il suo cortile a loggiati, il teatro anatomico e la cappella di Santa Maria dei Bulgari con gli affreschi di Bartolomeo Cesi. Fortunatamente fu scongiurato l’incendio, cosicché la parte più preziosa del patrimonio della biblioteca fu ricoverato a Casaglia, sui colli a Sud di Bologna, e furono recuperate dalle rovine le sculture e i rivestimenti lignei della sala anatomica, che fu ripristinata nell’immediato dopoguerra.
Anche la chiesa di San Giovanni in Monte e i suoi dintorni furono colpiti gravemente: la navata maggiore risultò scoperchiata, il protiro colpito nel tettuccio, il voltone di collegamento con via Santo Stefano danneggiato. Nei dintorni fu completamente distrutto il Teatro del Corso, proprio mentre gli orchestrali stavano provando un’edizione del “Barbiere di Siviglia”: i musicisti e il direttore d’orchestra si salvarono miracolosamente. Le bombe colpirono in pieno l’edificio provocando il crollo del portico esterno, la distruzione della copertura, delle logge superiori, di una parte dei palchi e del palcoscenico. Per ragioni economiche non fu possibile recuperare lo stabile, che fu smantellato: al suo posto venne costruito un moderno e signorile condominio. A ricordo dell’antico edificio rimangono oggi poche colonne, una porta e una lapide in via Santo Stefano.
I segni della distruzione
Insieme a diversi palazzi di via Indipendenza fu devastato anche l’oratorio di San Filippo Neri in via Galliera, con il suo interno settecentesco progettato da Alfonso Torreggiani. Dopo essere stato deposito di materiali edili, solo nel 1997 il luogo è stato restaurato per mano dell’architetto Pier Luigi Cervellati, che ha conservato la lacerazione prodotta dalla bomba ricostruendo le volte e la cupola dell’edificio mediante un’armatura in legno lamellare, non invasiva.
Dopo il bombardamento del 29 gennaio 1944 comparve sulle macerie degli edifici monumentali la scritta “opera dei liberatori”, ancora oggi visibile sotto il portico del Pavaglione, sul lato destro del portale di ingresso dell’Archiginnasio, e perfettamente leggibile sulla facciata della chiesa del Sacro Cuore, in via Matteotti a ridosso del ponte della stazione, anch’essa ripetutamente ferita dai bombardamenti alleati.
Bologna città della Resistenza
Il capoluogo emiliano, già noto per il suo spirito ribelle e la forte tradizione di movimenti operai e studenteschi, divenne un importante baluardo della Resistenza italiana tra il 1943 e il 1945. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, la città fu occupata da tedeschi e fascisti. Fu in questo contesto che nacquero i primi gruppi partigiani formati da operai, studenti, intellettuali e contadini, che iniziarono a organizzare azioni di sabotaggio e attacchi contro le truppe occupanti.
Nelle vie di Bologna i dirigenti politici della Resistenza si incontravano clandestinamente, le staffette sfidavano i posti di blocco e i rastrellamenti, i partigiani affrontavano il nemico in scontri a fuoco e vere e proprie battaglie, come accadde il 7 novembre 1944 nelle strade adiacenti a Porta Lame, dove tra fabbriche e case popolari si nascondeva uno dei principali centri insurrezionali e dove i nazifascisti subirono notevoli perdite. Qui, nel 1986, è stato collocato il monumento al partigiano e alla partigiana: due statue realizzate dallo scultore Luciano Minguzzi con il bronzo ottenuto dalla fusione del monumento equestre di Mussolini, che era allo stadio Littoriale e che venne disarcionato da cavallo a furor di popolo a seguito della caduta del regime fascista il 25 luglio 1943.
Il 15 novembre 1944 in città si svolse un altro significativo episodio di resistenza: la Battaglia della Bolognina, nel quartiere popolare a nord della città. Anche in questo caso i militari tedeschi e fascisti attaccarono l’edificio di piazza dell’Unità, in cui si erano asserragliati una ventina di reduci della battaglia di porta Lame. Dei reduci sei morirono durante lo scontro (i loro nomi sono citati nella lapide posta nel giardino della piazza), sei furono uccisi successivamente, sette si salvarono. Entrambe le battaglie furono momenti di grande partecipazione civile, con la popolazione schierata apertamente a favore dei partigiani, nonostante le terribili rappresaglie nazifasciste.
A celebrare il forte legame tra i partigiani e la città, negli anni sono stati eretti diversi sacrari e monumenti. Sul muro di Palazzo d’Accursio che affaccia su piazza del Nettuno (dove oggi ha sede la Biblioteca Salaborsa) è collocato il Sacrario dei partigiani, nato per iniziativa spontanea della popolazione, che fin dalla mattina del 21 aprile 1945 iniziò a depositare fiori e santini-ricordo sulla parete che per mesi, tra il 1944 e il 1945, aveva visto esposti i corpi dei partigiani fucilati. Quell’angolo, sprezzantemente battezzato dalle Brigate nere “posto di ristoro”, raccoglie oggi più di 2.000 formelle con ritratti e nomi dei caduti e 16, di più grande dimensione, che riproducono foto d’epoca.
Per onorare il ruolo determinante delle donne nella Resistenza bolognese, che non furono solo combattenti armate, ma anche staffette, infermiere, spie e organizzatrici, nel 1975 è stato eretto nel giardino di Villa Spada il Monumento alle cadute partigiane. Tra le donne ricordate nel monumento ci sono figure come Irma Bandiera, una delle più celebri martiri bolognesi, catturata e uccisa dai fascisti dopo giorni di torture per non aver rivelato informazioni sui suoi compagni. Realizzato nel 1975 dagli architetti del gruppo “Città nuova”, sotto la guida di Letizia Gelli Mazzucato, e dagli allievi del liceo artistico e dell’istituto d’arte di Bologna, il monumento è un interessante esempio di architettura partecipata, costituito da un muro alto due metri sui cui sono collocati 128 mattoni che riportano il nome delle partigiane cadute nell’intera provincia di Bologna, inciso con grafia incerta dai bambini delle scuole elementari.
Gli studenti del liceo artistico e dell’istituto d’arte hanno poi decorato il muro con formelle in bassorilievo e un murale. Il muro sale per circa 50 metri per poi trasformarsi nell’ordine superiore di un anfiteatro sul cui lato è stata collocata nel 2015 l’opera realizzata degli alunni delle scuole elementari Manzolini, dedicata alla figura della staffetta partigiana. La scelta di concepire un’opera architettonica aperta a nuovi apporti decorativi e di coinvolgere gli allievi delle scuole bolognesi deriva dalla volontà di mantenere vivo il ricordo della Resistenza nelle nuove generazioni e di promuovere la cittadinanza attiva.
Un altro monumento di grande impatto emotivo è l’Ossario dei caduti partigiani eretto nel Cimitero monumentale della Certosa. Inaugurato il 31 ottobre 1959, fu voluto da Giuseppe Dozza, partigiano e sindaco della liberazione di Bologna, che lo affidò a Piero Bottoni, esponente di spicco del Razionalismo. L’opera in cemento grezzo, con una base sotterranea alla quale si accede con tre scale, è strutturata come un camino industriale, a simboleggiare la morte di massa prodotta dalla guerra. Lungo il muro circolare si trovano 500 loculi contenenti i nomi dei partigiani. Al centro una vasca con acqua, simbolo di vita e di purezza, e cinque figure che si proiettano dal basso verso l’alto, come anime in ascesa al cielo. A enfatizzare questa idea di libertà, sia la frase scolpita quattro volte in alto sul perimetro esterno (“liberi salgono nel cielo della gloria”), sia le sculture che affiorano dall’esterno realizzate in lamina di rame da due artiste: Genni Mucchi e Stella Korczynska.
I segni di altre drammatiche pagine della storia della Resistenza cittadina sono ancora moltissimi. Ci limitiamo a ricordare il monumento-ricordo eretto nel 1967 nella piazza Caduti di San Ruffillo, non lontano dalla piccola stazione ferroviaria che collega Bologna a Firenze. Qui, a guerra ormai persa, tra il 10 gennaio e il 16 marzo 1945, militi della Guardia nazionale repubblicana e delle Schutz-Staffel fucilarono SS gruppi di partigiani catturati nelle settimane precedenti. I crateri prodotti dai bombardamenti alleati nell’area ferroviaria furono usati come fosse comuni e i cadaveri vennero gettati al loro interno. Gli eccidi rimasero ignoti fino al maggio 1945, quando alcuni corpi cominciarono a riaffiorare dal terreno: solo 73 delle 96 salme rinvenute furono riconosciute dai familiari.
Un suggestivo memoriale, eretto a memoria di un’altra strage di antifascisti bolognesi, è quello di Sabbiuno, collocato sul crinale tra Reno e Savena. Qui, tra il 14 e il 23 dicembre 1944, oltre cento prigionieri antifascisti, prelevati dalle carceri di San Giovanni in Monte, vennero fucilati dai tedeschi e gettati nei calanchi: i loro resti furono recuperati nei giorni successivi alla Liberazione. Il memoriale, inaugurato nel 1973, è stato realizzato su progetto del gruppo “Città nuova”: una sequenza di grandi massi posti sul ciglio del burrone ricorda i nomi delle vittime. Un muro di cemento con copie di mitra tedeschi rappresenta i fucilatori, mentre il filo spinato di colore rosso sulla china allude al rotolare dei corpi nel calanco.