Dal dialetto una "identità" in movimento, Ermanno Vichi

articolo estratto dalla Rivista ibc IV, 1996, 4

Sul finire della scorsa legislatura, il Consiglio Regionale dell'Emilia Romagna ha approvato una Legge finalizzata alla tutela e alla valorizzazione dei dialetti. Su questo c'è una letteratura largamente nota e non credo valga la pena riproporre considerazioni già fatte a suo tempo. Contestualmente si moltiplicano le iniziative di Enti Locali, Istituti di Credito, e - va notato - anche di tanti piccoli editori. Se poi si assumono nella categoria generale della cultura dialettale anche la rivalorizzazione della civiltà contadina, di quella marinara, della cucina tradizionale, la riproposizione di parole, frasi idiomatiche, proverbi, vediamo che i soggetti direttamente o indirettamente coinvolti sono moltissimi. Tra essi anche le Unità Sanitarie Locali; e vorrei fare cenno ai tanti libri di educazione alimentare che potrebbero essere molto bene inseriti in una collana di dialetti.

 Questa osservazione per annotare che i dialetti non sono un bene archeologico che occorre scoprire dopo anni di incuria; né sono un dato immutabile. I dialetti sono vivi e si evolvono gradualmente. Si può affermare che evolvono positivamente e riflettono il modo in cui una nuova civiltà della comunicazione di massa interagisce con la cultura popolare.

Non si tratta quindi di salvaguardare dei materiali in condizione di degrado (spesso accade anche questo), ma di aiutare una cultura alternativa, popolare, speculare alla cultura "egemone", standardizzata e imposta dal sistema delle comunicazioni di massa.

Devo dire, per onestà, che, approntando il progetto di cui stiamo parlando, non abbiamo pensato a questo aspetto; se lo avessimo fatto ci saremmo probabilmente dedicati a un impegno troppo grande e il risultato sarebbe stato nullo. Non è tuttavia inutile, allo stato dell'arte, considerare la natura dinamica dei dialetti e la loro valenza "civile".

Le risorse stanziate dalla Regione sono limitatissime rispetto a quelle messe in campo dalle Istituzioni ricordate; noto però che queste non costituiscono un sistema. Si pone forse iI problema del conferimento di tutte le risorse in capo ad un unico soggetto? E' una domanda retorica, perchè va da sè che l'unico risultato, non certo apprezzabile, sarebbe l'inaridirsi di tutte le iniziative in atto. Approntando la Legge Regionale ci ponemmo invece l'obiettivo di evitare la solita "leggina" delle mance: le spese di gestione supererebbero i pochi spiccioli distribuiti. Abbiamo più semplicemente individuato nell'IBC il motore, il centro, il coordinatore delle attenzioni ai dialetti. Lo stanziamento del bilancio regionale deve essere considerato niente di più che una dotazione minima per far fronte alle spese di progettazione e di organizzazione. Da un semplice capitolo a gestione diretta dell'Assessorato alla Cultura siamo passati aII'incarico all'IBC per la realizzazione di un progetto e l'attivazione di un percorso teso alla tutela delle culture dialettali.

Adesso mi aspetto un progetto molto ambizioso, a cui più soggetti decidano di partecipare, aumentando possibilmente anche il loro impegno finanziario. Continuo a ritenere che la scelta dell'IBC sia stata giusta; quali effetti abbia poi prodotto non sono al momento in grado di appurare. Non mi sembra tuttavia che questa esigenza di coordinamento sia molto sentita a livello locale.

Per non riproporre ancora considerazioni già note e che risulterebbero scontate, propongo una riflessione che non considero del tutto ovvia. Se i dialetti sono largamente usati nelle province emiliano-romagnole meno interessate dai flussi immigratori (nello specifico, immigrazione interna) e se si caratterizzano come segno di riconoscimento e di identità, non bisogna dimenticare né sottovalutare le esperienze, nelle zone a forte immigrazione, che scaturiscono dall'incontro di più culture, più tradizioni, quindi più lingue e dialetti, tutti soggetti a una specie di regressione sotto la spinta di una "cucina internazionale della lingua", una lingua che dovrebbe andare bene per tutti, ma in cui nessuno si riconosce veramente. Occorre scoprire la ricchezza e le potenzialità delle società multietniche, recuperando accanto alle tradizioni indigene anche quelle delle comunità immigrate. Perchè non rapportarsi dunque positivamente con altre Regioni?

Ritengo infine importante sottolineare un'altra questione. La tutela dei dialetti rappresenta un segno di divisione o di unità? Il Consiglio Regionale, negli stessi mesi in cui ha approvato la Legge sui dialetti, che definirei una legge sulle "identità", ha legiferato anche sulla educazione alla pace, che definisco "legge dell'apertura" agli altri e "dell'unità". Non c'è contraddizione, perch‚ la pace e l'unità si fondono sulla conoscenza, sull'apprezzamento e sul reciproco rispetto. Se solo la considerassimo in quella dimensione, avremmo davanti un lavoro senza limite, in cui l'obiettivo si identifichi con un nuovo metodo e una più ampia apertura mentale.

Ermanno Vichi

articolo estratto dalla Rivista ibc IV, 1996, 4 

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ultima modifica 2024-03-05T13:42:24+01:00
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