Forse son matto, forse son mago

racconto di Cassio Tosatti

“Mo va mo’ là, sei proprio un ‘cassione’!” Così mi liquidò la coinquilina riminese, e vi lascio immaginare come suonava il mio nome storpiato su quelle labbra romagnole (mi chiamo Cassio…). Forse era un po’ arrabbiata con me perché la sera prima mi aveva “beccato” mentre la spiavo dal buco della serratura. Lo facevo sempre, quando eravamo soli (viveva con noi anche il suo ragazzo fricchettone, ma era sempre in giro, suonava nei locali). Lei, aprendo di scatto la porta, mi aveva guardato dritto negli occhi (per fortuna, aggiungo) e aveva sorriso, come sa fare una vera dea romagnola, una Venere Callipigia, e agli amanti del classico ho detto tutto. Quella notte dormii poco e la mattina mi svegliai affamato e certo di aver perso per sempre i miei dieci decimi. Ma torniamo ai fatti: era una bella giornata di giugno e, chissenefrega dell’Università, presi il mio skate e andai in Montagnola, per calmare con lo sport i bollenti spiriti. Dall’autostazione salii la scalinata del Pincio e arrivai in quella terrazza che dà su Via Indipendenza, di fronte al cinema, oggi tristemente chiuso. Iniziai così ad allenarmi, felice di infastidire un gruppo di “yogaroli” che proprio lì volevano trovare la pace interiore. Sarà stato un caso ma dopo pochi minuti feci un gran “busso” – così si dice qui a Bologna – contro il grande platano all’altro lato della terrazza. Una yogarola dai capelli lunghi fece dietrofront dal suo viaggio spirituale e mi soccorse, sapeva di incenso. Ma non era la sua voce quella che sentivo, era un brusio che veniva dall’alto. “Oddio, son morto!”, vagheggiai. L’odore di ascella sudata del maestro di Yoga, che mi sorreggeva, mi riportò la gioia, non ci può essere un afrore simile nell’aldilà, pensai…Furono gentili e io neanche un graffio, solo un modesto bernoccolo in testa e quello strano brusio.

E’ la storia che vi sto per raccontare che fece esclamare in quel modo la “dea”. Ebbene sì, io da quel giorno sento quell’albero che mi parla, tutte le volte che mi avvicino a lui. E non è sempre un bel sentire. A volte è volgare, pettegola e, sempre, vanitosa. Si sente “femmina”. Quel giorno si presentò come “la Platanessa”. A lei questo nome non piace. Glielo avevano affibbiato gli altri alberi del parco, e non tanto per il suo portamento, ma perché tutti sono gelosi di lei, così dice. Il motivo? Lei si vanta di essere “l’albero dell’Amore” del parco.  Forse perché c’è quel bel lampione liberty ad illuminarla, forse perché gli innamorati corrono sulle scale del Pincio e si appoggiano a lei per stringersi, oppure è l’effetto del karma “peace and love” degli yogaroli, sta di fatto che ancora oggi – fateci caso, se vi capita – se ci si bacia in Montagnola, ci si bacia accanto a lei.
Ora, nelle vesti di traduttore, riporto un suo monologo (di questo si tratta, non si può interloquire con la “Platanessa”) che ho raccolto nel maggio 2020, alla fine del “lockdown” di primavera:
“Ah, signora mia (mi chiama così, forse mi prende in giro...), bentornata eh! Credevo si fosse dimenticata di me! in realtà siete in tanti a non farvi più vedere e temo di perdere il titolo di “Albero dell’Amore” se non vi strusciate sulla mia corteccia! Dove sono finiti i vostri sentimenti? Siete diventati tutti pietre, fontane, lampioni? Quasi quasi rimpiango anche quelli come lei che, mostrandomi il piccolo rubinetto, bagnavano le mie radici…E quei cortei, quelle lunghe file di persone urlanti che passavano lungo la Via, lì sotto, dove sono finiti? Tra tutti il mio corteo preferito è sempre stato quello colorato, con bandiere arcobaleno e paillettes: alla fine in tanti correvano a salutarmi baciandosi, un segno di rispetto nei miei confronti, non è vero? Beh, voi non c’eravate ma noi alberi ci siamo dati tanto da fare. Con le radici ci siamo parlati (e il mio amico platano, là in fondo, me ne ha raccontate di cotte e di crude su di voi…), ci siamo amati “à la folie” (altro che “ménage a trois”!!!), ci siamo anche aiutati (c’è un amico albero che sta male, io ha avuto anche una storia con lui, non posso certo abbandonarlo ora). Fate così anche voi, vero?” Provo a dir qualcosa, ma subito mi interrompe: “Adesso state tornando, sarà la bella stagione, forse lo avete capito che lo star chiusi in casa vi ha reso più grassi e più brutti, e se la vostra è una prova di superbia nei nostri confronti sappiate che avete perso la battaglia prima di cominciare, guardate me….”
E qui interrompo il resoconto perché davvero insopportabile, tanto da farmi sospettare che noi umani siamo usati soltanto come garanzia per quel titolo “nobiliare” di Albero dell’Amore,  che lei sfoggia in società. Un giorno le ho anche urlato un pensiero di Leopardi che riporto qui per voi, solo per farla star male:” Ogni giardino è quasi un vasto ospitale (luogo ben più deplorabile che un cemeterio), e se questi esseri sentono, o vogliamo dire, sentissero, certo che il non essere sarebbe per loro assai meglio che l’essere.” (Zibaldone). Sono stato crudele ma a volte la Natura esagera nel non capire. Ma anche Lei, proprio come la dea riminese di allora, all’improvviso ti guarda e sorride e tu sei lì, piccolo e nudo. Così ha fatto la “Platanessa”. Chissà se si è degnata per una volta di ascoltarmi. So soltanto che alla fine del mio sfogo ha fatto frusciare tutte le foglie e mi ha detto: “stiamo più insieme, ti voglio bene”.

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ultima modifica 2020-11-20T17:01:16+01:00
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