Sotto il segno del Toro / A tu per tu con il Museo “Ferruccio Lamborghini” di Funo di Argelato
Trattori di campagna dei tempi andati, accanto ad automobili sportive dalle linee avveniristiche: chi entra nel museo dedicato a Ferruccio Lamborghini da suo figlio Tonino, e cammina al suo interno, trova riunite sotto lo stesso tetto due famiglie di oggetti diversissime, che sembrano provenire da pianeti tra loro lontani.
A unire questi due pianeti distanti in una sola costellazione è il Toro: per una serie di circostanze fatali, infatti, quello che fu il segno zodiacale di uno dei grandi capostipiti della “Motor Valley” italiana è anche il simbolo della sua avventurosa carriera.
La storia ha inizio nella pianura ferrarese poco meno di un secolo fa, quando un bambino destinato a diventare contadino impara da un fabbro l’arte di piegare il ferro e di saldarlo. Poi, nell’officina bolognese del cavalier Righi, il giovane Ferruccio scopre la magia fragorosa dei motori a scoppio e da quel giorno ogni mezzo, che abbia due o quattro ruote, diventa l’occasione per riparare, costruire o sperimentare qualcosa di nuovo.
La passione per cilindri e pistoni gli torna utile negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale: utilizzando i veicoli bellici rimasti tra le macerie, l’ingegnoso meccanico brevetta il “Carioca”, un piccolo trattore di grande successo, perché fa risparmiare carburante. Nasce così la fortuna di “Lamborghini Trattori”, che in un decennio passa da un pezzo prodotto ogni settimana a trenta veicoli sfornati ogni giorno.
All’inizio degli anni Sessanta il piccolo imprenditore è diventato un grande industriale e può permettersi il lusso di guidare una Ferrari. Può permettersi persino di andarlo a trovare a casa, Enzo Ferrari, per fargli presente i problemi che gli dà la frizione della sua Rossa. L’aneddoto vuole che, dopo il litigio di quel giorno, Ferruccio abbia preso la sua decisione: farà vedere al “Drake” (e al mondo intero) cosa è capace di fare lui, oltre ai trattori.
Ha già in mente il motore: sarà un 12 cilindri da 3.500 centimetri cubici, quattro alberi a camme in testa, due valvole per cilindro, sei carburatori e lubrificazione a carter secco. Per disegnarlo chiama l’ingegnere Giotto Bizzarrini e il progettista Gian Paolo Dallara e, insieme a loro, mette a punto la leggendaria Lamborghini “350 GT”, prima regina di una lunga dinastia della strada.
Come simbolo per il suo marchio automobilistico, Ferruccio sceglie un toro, e le ragioni sono più d’una. La prima, come detto, è lo zodiaco. La seconda è che il re dei bovini (parole sue) “è tamugno come me”, dove “tamugno” sta per coriaceo. Poi c’è la passione per la corrida e i suoi protagonisti, da cui discenderanno i nomi di quasi tutti i suoi bolidi, dalla Miura in avanti. E infine la rivalità con Ferrari: contro il cavallino rampante cos’altro fare se non schierare un quadrupede più aggressivo, pronto a caricare appena vede rosso?
Forse però, nella mente del fondatore, c’è anche l’intenzione di mantenere un legame simbolico tra la fase agricola e quella automobilistica della sua storia. Un legame che segna tuttavia una differenza notevole: dal bue meccanico “rinchiuso” nel trattore si passa infatti al toro “sfrenato” della fuoriserie, dal solco sul terreno si arriva alle corsie sull’asfalto, dal giogo alla libertà.
Per coglierne fino in fondo il significato, il marchio che rende uniche le Lamborghini va guardato con attenzione. Perché il toro disegnato da Paolo Rambaldi non sta fermo in una posizione qualsiasi, ma è raffigurato nell’istante della “verónica”, quel movimento ipnotizzante che ha inizio quando il torero invita l’animale alla carica e “carga la suerte”, mostrandogli il panno (che gli spagnoli chiamano “inganno”) e dietro il panno il suo petto.
L’immagine dello stemma ferma il momento in cui il quadrupede sta per colpire a testa bassa, con tutta la sua forza: appena un attimo dopo, il torero sposterà il panno e lo farà scivolare sul proprio fianco, sviando così la furia dell’attacco.
Con un solo “muggito”, insomma, il simbolo scelto da Ferruccio Lamborghini dice due cose importanti e le garantisce contro ogni “inganno”: tanto è potente il motore del suo “toro” a quattro ruote, quanto è sicura la guida per chi se ne mette al volante.
Per saperne di più e progettare una visita al Museo “Ferruccio Lamborghini” di Funo di Argelato c’è PatER: il catalogo del patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna.
Foto > Museo “Ferruccio Lamborghini”, Funo di Argelato (Bologna)
Foto > Il primo marchio delle “Automobili Ferruccio Lamborghini”, 1963-1972 - Museo “Ferruccio Lamborghini”, Funo di Argelato (Bologna)
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