Scherzi da balena / A tu per tu con i Musei Civici di Reggio Emilia
A dispetto della loro enormità, le balene amano apparire di botto, quando meno te l’aspetti, quasi che a sorprenderci si divertano. Come accadde a un cercatore di fossili in un giorno d'autunno del 1997, tra i calanchi di Castellarano, sulle colline tra Modena e Reggio.
Cerca che ti cerca, quel tale tira fuori dall’argilla alcuni grossi frammenti ossei e (sorpresa!) questi pezzi sono ciò che resta della mandibola di un gigantesco cetaceo, arenatosi lì tre milioni e mezzo di anni fa, quando il mare copriva gran parte dell’Italia: un esemplare lungo più di dieci metri, che in vita pesava alcune decine di tonnellate.
Poi, grazie a una serie di scavi, sono stati recuperati molti altri resti, che oggi sono esposti nei Musei Civici di Reggio Emilia.
La balena fossile venne chiamata “Valentina”, in onore del santo caro agli innamorati, che dà il nome al luogo della scoperta. Ai suoi tempi, in effetti, bella com’era, mentre nuotava sotto il sole del Pliocene, la creatura dovette spezzare molti cuori. E quando smise di respirare dovette spezzare anche dell’altro, come ci dicono i denti di squalo ritrovati tra le sue ossa: denti affilatissimi, testimoni di una fine gloriosa, perfettamente in pari con le leggi di natura, per cui chi mangia, prima o poi, viene mangiato.
Quando visiterete i Musei Civici, dopo aver salutato Valentina, non dimenticate di salire all’ultimo piano, nella sala della Manica Lunga, dove vi aspetta (seconda sorpresa!) un’altra balena. Questa volta, per di più, è in carne e ossa. Non solo: si tratta di un cucciolo della specie più celebre, proprio quella immortalata da Herman Melville nelle avventure di “Moby Dick”. E la sua storia è altrettanto degna di un romanzo.
Un giorno di aprile del 1938, sulla spiaggia tra Senigallia e Falconara, si arenano in un sol colpo ben sette capodogli e, uno dopo l’altro, lanciano al cielo il loro ultimo soffio. Dopo la sorpresa generale (e sono tre!) i pescatori approfittano senza ritegno del dono inaspettato: gli esemplari più grandi vengono trasformati in olio, il più piccolo viene venduto a un circo, che per qualche giorno lo esibisce di città in città, come attrazione macabra.
Giunto a Reggio Emilia, l’innocuo “mostro degli abissi”, ormai putrefatto, riceve finalmente la pietà che merita. Di lui si prende cura Socrate Gambetti, il tassidermista in servizio ai Musei: messa insieme una squadra di aiutanti e acquistati chili di formalina, potassa, legno, paglia, mastici e vernici, in un anno e mezzo porta a termine, a regola d'arte, una complessa opera di imbalsamazione. Da quel giorno, con il suo occhio di vetro e la sua pelle lucida, il giovane pronipote della grande antenata pliocenica rivive negli sguardi stupiti di chi l’ammira.
La balena, diceva Melville, ha solcato i mari del mondo molto prima che il tempo degli uomini avesse inizio, e senza dubbio sopravvivrà anche quando il nostro tempo sarà finito. Chissà, allora, a chi farà le sue sorprese?
Per saperne di più, oltre a PatER - Catalogo regionale del Patrimonio culturale, si possono leggere le altre storie legate agli oggetti e ai progetti dei Musei Civici di Reggio Emilia.
Foto > Musei Civici di Reggio Emilia - Scheletro della balena proveniente da San Valentino (Castellarano), risalente a 3,6 milioni di anni fa
Foto > Musei Civici di Reggio Emilia - Capodoglio imbalsamato - foto di Giovanni Tagini
Vittorio Ferorelli