Anche i bastoni hanno un’anima / A tu per tu con il Museo civico del Risorgimento di Bologna
A chi si lamenta dei pericoli delle nostre città attuali, e magari si abbandona al rimpianto dei bei tempi andati, questa storia potrebbe suonare di conforto, o forse di conferma...
A Bologna, intorno al 1860, proprio mentre si sta avverando il sogno risorgimentale dell’Italia unita, tra le Due Torri e le mura urbane si contano quasi 500 aggressioni a mano armata e, all’ombra scura dei portici, la vita sembra diventata un incubo. Gli anni turbolenti in cui la città passa dal Governo Pontificio al Regno d’Italia, infatti, hanno fatto registrare un aumento impressionante della criminalità, che va di pari passo con la crisi economica e l’instabilità politica.
Ed è così che per le strade, specialmente di notte, oltre alle forze dell’ordine fanno la ronda le “Pattuglie cittadine”, un corpo istituito già qualche decennio prima dall’autorità papale, formato da cittadini dotati di buona volontà e di altrettanto coraggio. Cittadini che possono girare armati di pistola e sciabola, o anche di un bastone “animato”, ossia munito di un’anima interna costituita da un’affilata arma bianca (quasi sempre uno stocco).
Una di queste armi insospettabili si trova nel Museo civico del Risorgimento di Bologna e appartenne a Luigi Giovagnoni, che fu sergente della Guardia civica pontificia intorno al 1849 e poi, dal 1863, fece parte proprio di queste Pattuglie: uomo probo (immaginiamo) ma pure incline all’autodifesa, come dicono le quattro pistole e il coltello conservati insieme al bastone. L’elegante impugnatura a L, in canna e osso nero, estratta verso l’alto permetteva di sguainare una lama lunga più di 70 centimetri, forgiata a due fili e resa ancora più letale dalla sezione a losanga e dal breve sguscio centrale.
Nel 1864, alle Pattuglie Cittadine di cui Giovagnoni fa parte, viene chiesto un aiuto anche per mantenere l’ordine durante la cosiddetta “Causa Lunga”, il grande processo che porta alla sbarra ben 110 imputati, accusati di aver dato vita all’“Associazione dei Malfattori”, una vera e propria organizzazione criminale che ha seminato il panico a Bologna. Uno dei pubblici ministeri la dipinge così: “Tutto ciò che di più schifoso avevano rigettato gli ergastoli e le galere: tutto ciò che di più tristo si raccoglieva in città o vi conveniva dalle circostanti borgate: oziosi, bari, ladri, manutengoli, micidiali, assassini, tutti si raccolsero, tutti si strinsero a un iniquo patto”.
Tra i presunti autori dei reati c’è anche un certo Luigi Righi e a chiamarlo in causa è proprio un bastone animato. Ventinovenne, falegname di mestiere, Righi è considerato uno dei capi della “Balla di Saragozza”, dove “balla” sta per “gruppo” e Saragozza è il nome di un quartiere. Viene accusato, tra l’altro, di aver partecipato a una rapina al magazzino merci della stazione ferroviaria e, tra gli indizi a suo carico, ecco spuntare il “bastone a stocco” che nella fuga avrebbe dimenticato sul luogo del delitto.
“Quella sera ero a casa a dormire”, si difende l’imputato, e il pubblico ministero lo incalza: “Eravate voi solito di portare un bastoncino, con lo stile?”. Risposta: “Come dissi col signor giudice, che prima mi dimandò se avessi mai portato un bastone col pugnale, i miei bastoni erano una bacchetta di canna d’India e una più bella e più grande della prima, nella quale c’erano degli scherzi”. “Ci sarebbe stato anche lo scherzo di un pugnale nascosto?”. E lui, con decisione: “Non ho mai portato simili bastoni”.
Alla fine il verdetto della giuria stabilì che Luigi Righi era colpevole di quella e di un’altra rapina, e che in effetti faceva parte dei famigerati “Malfattori”. Come per molti dei suoi complici, la pena richiesta furono i lavori forzati a vita. Ma la domanda è: chissà che fine fece poi il suo “bastoncino”, con tutti “gli scherzi” che conteneva al suo interno?
Oggi quest’arma così particolare, rimasta in uso fino agli anni Trenta del Novecento, è tornata a “colpire” nei manga giapponesi come “One Piece” o nei videogiochi della serie “Assassin’s Creed”, dopo una memorabile apparizione nell’“Arancia meccanica” di Stanley Kubrick. Attenzione, però: un decreto regio del 1931 stabilisce che in Italia, per portarla con sè, oltre ad avere una licenza delle autorità, occorre che la lama non sia più lunga di centimetri 65. Prescrizione che, in fin dei conti, e con buona pace del probo Giovagnoni, mette fuori legge anche il suo “bastoncino”!
Per saperne di più e progettare una visita al Museo civico del Risorgimento di Bologna c’è PatER - Catalogo regionale del Patrimonio culturale.
Chi volesse approfondire la storia della “Causa Lunga” può consultare i materiali della mostra “Ai tempi della Balla Grossa. Le imprese criminali di un’associazione di malfattori nella Bologna postunitaria” (Biblioteca dell’Archiginnasio, Bologna, 11 maggio - 10 settembre 2017).
Foto > Museo civico del Risorgimento, Bologna - Bastone animato appartenuto a Luigi Giovagnoni (seconda metà del Diciannovesimo secolo).
Foto > Gentiluomo ottocentesco - foto Pixabay - CC0.
L’autore del testo ha verificato per quanto possibile le fonti documentarie e i crediti iconografici utilizzati; eventuali modifiche e integrazioni possono essere richieste contattandolo: vittorio.ferorelli@regione.emilia-romagna.it