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Introduzione

Bob Dylan nel film documentario Don’t look back, realizzato durante la tourneè inglese del giovane cantautore nel 1965, davanti a una vetrina londinese piena di chitarre Wandrè, esclama: “We don’t have those guitars in the States! Man, they are incredible!". Più di recente il chitarrista e attore americano Johnny Depp ha omaggiato l’amico Joe Perry (chitarrista degli Aerosmith) con una Wandré (la Brigitte Bardot), definita “la chitarra perfetta per il blues”. In Italia è stata la prima chitarra di Adriano Celentano, l’unica usata da Francesco Guccini e tra quelle più care ai Nomadi.

Quella che stiamo per raccontarvi è una storia leggendaria che parte da Cavriago, nel reggiano, dove negli anni Cinquanta nasce la prima fabbrica di chitarre elettriche in Italia. Il fondatore è Antonio Pioli, in arte Wandrè, nato a Cavriago il 6 giugno 1926. Arruolatosi a 17 anni nelle formazioni partigiane sull’Appennino reggiano, al termine della guerra si diploma alla Scuola Convitto di Rivaltella, e nella primavera 1957, dopo avere diretto cantieri edili in tutta Italia per conto del Consorzio Cooperative di Reggio Emilia (ed essere stato cacciato per l’incapacità di tollerare compromessi e l’abitudine a schierarsi sempre dalla parte degli operai…) intraprende la professione di liutaio raccogliendo il testimone dal padre Roberto, che costruisce in particolare violini.

È il primo in Italia a costruire chitarre e bassi elettrici e ha un progetto ben preciso: trasformare la chitarra da attrezzo di lavoro per il musicista a "scultura sonora", distante dai modelli convenzionali, creatura unica, opera d'arte pop intrisa di futurismo, surrealismo, metafisica e astrattismo. Le chitarre Wandrè,  ancora oggi tra le più ricercate dai collezionisti di ogni paese, vogliono trasmettere di per sé energia ed emozioni in virtù delle loro forme, dei loro colori (che mai si erano visti prima su uno strumento), dei nuovi materiali introdotti (come la plastica e l’alluminio) e dei tanti simbolismi che sono nascosti in quelle linee solo apparentemente assurde.
Ogni chitarra realizzata da Wandrè ha una sua storia e una personalità unica. Cosi come è unico e originale il luogo di produzione: si tratta di un'utopistica fabbrica dalla pianta rotonda e open space che anticipa di anni la Factory di Andy Warhol, realizzata con una tecnica costruttiva - la struttura tenso-elastica con cemento precompresso - che a quei tempi non era mai stata utilizzata per la copertura di un edificio ad uso industriale. La soluzione architettonica, con una vetrata circonferenziale e un’apertura 2 centrale sul tetto concavo, consentiva agli operai di vedere costantemente il cielo, così che ricordassero di essere persone libere. Wandrè infatti riteneva che il lavoro, anche quando piace, non è mai una condizione naturale per l’uomo, ma sempre una fonte di coercizione. Il lavoro al suo interno prevedeva il coinvolgimento degli operai nell’organizzazione e pianificazione del lavoro, nonché nella realizzazione delle campagne pubblicitarie. La produzione era finalizzata per obiettivi, consentendo così flessibilità e autogestione degli orari e vi era, in certa misura, la condivisione del capitale. Per tanto, gli operai avevano le chiavi della fabbrica e potevano accedere e utilizzare le attrezzature per lavori propri, al di fuori dell’orario di servizio. Vi era una costante frequentazione di artisti e musicisti che interagivano con gli operai e improvvisavano jam-session.

Al Museo internazionale e biblioteca della musica di Bologna, in occasione del suo ventesimo anniversario, arrivano oltre 50 pezzi tra chitarre, bassi e contrabbassi, tutti di marchio Wandrè. Occasione unica per constatare come l'intera produzione sia permeata da un profondo lirismo, evidenziato dalle linee, dal contrasto dei colori e dall'incontro di materiali inconsueti per l'arte liutaria.
Un'avventura durata fino al 1968, quando Wandrè inizia a occuparsi di abbigliamento creando capi originalissimi, poi entra a far parte del movimento artistico Fluxus e da artista vive l'ultima parte della sua vita (muore nel 2004). Ogni modello ha un nome particolare: Brigitte Bardot, Rock'n'Roll, Marte, Spazia, Selene, Etrurian, Mini, spesso ispirati a personaggi, eventi e visoni dell'epoca, fino all'ultimo modello, lo Psychedelic Sound, presentato nell’aprile 1967, che è un tributo ad Allen Ginsberg. Come il poeta della Beat generation, che portò i capelli lunghi oltre le spalle quando tutti li tagliavano corti e si rasò quando tutti iniziarono a farli crescere, Wandrè pensò che in un momento in cui si rincorreva l’originalità e ognuno si sforzava di realizzare opere bizzarre, la cosa più rivoluzionaria da fare fosse ritornare alle origini. Per il suo ultimo modello recupera quindi tecniche costruttive e tagli propri della liuteria classica. D’altra parte, la sua rivoluzione psichedelica, e forse anche sociale, Wandrè l’aveva già fatta dieci anni prima con le sue incredibili sculture fruibili per musica e la sua utopistica fabbrica rotonda.

La mostra è a cura di Marco Ballestri con la collaborazione di Oderso Rubini e del collettivo I Partigiani di Wandrè (Paolo Battaglia, Gianfranco Borghi, Luca e Loris Buffagni, Riccardo Cogliati, Mirco Ghirardini, Giorgio Menozzi, Johnny Sacco, Adelmo Sassi).
E' aperta dall'11 maggio all'8 settembre 2024 e l'ingresso è gratuito. Catalogo in vendita al bookshop.
Museo internazionale e biblioteca della musica, Strada Maggiore 34, 40125 Bologna Orari: Martedì, mercoledì, giovedì 11.00 - 13.30 / 14.30 - 18.30 Venerdì 10.00 - 13.30 / 14.30 – 19.00 Sabato, domenica, festivi 10.00 – 19.00 Lunedì chiuso

Francesco Guccini - dal catalogo della mostra

"Mi dicono che faceva chitarre, ma non chitarre come hanno da essere le chitarre, piuttosto oggetti dotati di un'anima propria, ribelli, addirittura pericolose. Ché se fai l'errore di prenderne una in mano rischi di perderti e non ritrovarti più."

Ultimo aggiornamento: 14-11-2024, 10:59