150 anni di Italia unita - le celebrazioni
Una mirabile formazione
Ezio Raimondi
Sin dal tempo del Proclama di Rimini, la canzone composta nel 1814, Manzoni è un convinto, realistico e insieme utopico assertore dell’unità italiana, come condizione di una libertà e di una indipendenza necessarie. C’è un verso che dice “liberi non sarem se non siam uni” e solo a questa condizione sarà possibile un riscatto, con un accento che ricorda una dimensione biblica, il ritrovamento di una patria inserita in un territorio.
Il discorso politico ha il pathos della redenzione, del recupero dell’onore perduto, con una forza che è insieme un’intimità profonda. Non per nulla i testi politici manzoniani sono tutti posteriori alla conversione e l’unione è sempre un atto di solidarietà. Contro la separatezza si afferma dunque un programma unitario che sembra sfidare la storia e gli equilibri europei e diviene una costruzione borghese dell’intelligenza e del desiderio. Così Manzoni accompagna il Risorgimento e ne definisce l’interpretazione rivoluzionaria.
Quando nell’ottobre del 1849, all’indomani delle Cinque Giornate di Milano, deve rispondere, intervenendo nel dibattito aperto da Lamartine che in un discorso ai deputati italiani aveva parlato di una possibile “diversità”, cioè divisione, nella questione italiana, lo scrittore oppone di nuovo uno spirito del tempo e il sentimento certo del futuro. Manzoni osserva che tra i “popoli d’Italia” si sta verificando un’“assimilazione” e, quanto a tale assimilazione, egli aggiunge che bisognerebbe essere un profeta per predirla.
In attesa di passare dal pensiero alla parola, all’azione e alla prova, Manzoni sin dall’inizio ha scelto il Piemonte come l’unico stato italiano che dispone dell’esercito e quella che discorge è una guerra rivoluzionaria, dove il confronto tra la Rivoluzione francese del 1789 (l’evento più straordinario e “procelloso” della storia moderna) è un modo per rapportare la guerra contro l’Austria alle vicende della libertà europea e della rivoluzione liberale. Manzoni è un lettore acutissimo della rivoluzione francese e ricava dall’analisi la legittimità della rivoluzione italiana, che ha mutato la condizione del governo. Quella che è nata nel 1859, di là da tutte le aspettative e le previsioni, quasi con stupore, è una “formazione mirabile”, un’Italia che ritorna alle sue origini e alla sua vocazione europea.
Il vecchio scrittore, dopo il ’60, si divide fra il tema della lingua nazionale unitaria e la legittimità e la dignità della rivoluzione italiana, e continua a scrutare il fatto prodigioso del Risorgimento in un paese che riprende il cammino della civiltà. Nel 1871, per l’ultima volta, ritorna sul vecchio tema dell’Unità per replicare alla dichiarazione di Thiers che aveva parlato di “quadratura del circolo” per la nazione italiana da poco integrata con Roma, ma egli non ha in mente la comunità cattolica estranea alla comunità nazionale.
All’Italia impossibile di Thiers, sullo sfondo cruento della Comune, il Manzoni ricorda che l’Unità “è venuta bensì molto tardi, per troppe tristissime cause; ma la prima volta che fu tentata, è riuscita e fu quando il sentimento della sua necessità per acquistare la forza che potesse sollevarla dallo stato d’abiezione e di servitù in cui era tenuta divenne universale e fu aiutato da favorevoli circostanze”. Non “circolo”, diceva il Manzoni, ma “la figura la più antigeometrica che si possa immaginare, e quindi necessariamente mutabile a ogni vicenda di preponderanza nei suoi condivisori”.
In fondo egli è il testimone e l’interprete di un Risorgimento incompiuto, di una modernità che si mette a confronto nel tempo della globalizzazione postliberale. Per questo l’Unità manzoniana è un bene italiano, un’energia da rinnovare nel presente.
L'Assemblea legislativa dell'Emilia-Romagna si è riunita in seduta solenne mercoledì 16 marzo (dalle ore 10 alle 13) per celebrare il 150° anniversario dell'Unità d'Italia.
La diretta web della seduta solenne dell'Assemblea legislativa