venerdì,  3 novembre 2023

Achille Funi. Un maestro del Novecento tra storia e mito

A Palazzo dei Diamanti di Ferrara oltre 130 opere per celebrare un artista che ha attraversato da protagonista la storia dell'arte e della cultura italiana della prima metà del Novecento. Fino al 25 febbraio 2024

"L'antico costituì per lui l'unico modo di vivere il presente e lo portò alla scelta di regole rigorose che seguì per tutta la vita con coerenza". Così lo scultore Alik Cavaliere, uno degli allievi prediletti di Achille Funi (Ferrara, 1890 – Appiano Gentile, 1972), ricordava il maestro nel 1987. Al "pittore che pensava in latino", innamorato dei miti classici tanto da essere considerato un moderno umanista, Palazzo dei Diamanti dedica una vasta rassegna antologica, dagli esordi agli ultimi anni di vita, che si riallaccia idealmente all'esposizione postuma del maestro ferrarese ospitata sempre in questo palazzo nel 1976.

Una identità rivolta al classico fin dal nome di battesimo, Virgilio Socrate, a cui più tardi volle aggiungere Achille, e così lo ricordiamo. Dagli esordi a Brera alla tarda maturità Funi ha sperimentato tutte le tecniche pittoriche senza stancarsi di ricercare i segreti perduti dei grandi maestri della cultura rinascimentale, dall'amatissimo Leonardo alla grande pittura ferrarese del XV e XVI secolo. Il disegno per lui è la matrice della creazione artistica. Funi lavora come i maestri antichi. Per il ferrarese, nemico dell’improvvisazione e del pressapochismo, il disegno è il fondamento della pratica artistica, è disciplina e sorveglianza mentale, oltre che manuale, e da esso deriva la credibilità dell’immagine, che deve essere attentamente studiata sia in termini di composizione generale, di rigorosa struttura geometrica, sia nei singoli elementi che la compongono. 
Un amore per le forme che è evidente fin dalle prime prove accademiche e persino nel suo avvicinarsi al futurismo, senza mai aderirvi, con un linguaggio innovativo, tanto che l'amico Umberto Boccioni lodò Funi per la capacità di esprimere "attraverso pure forme e puri colori, una emozione plastica". Il bisogno di rinnovamento che il giovane Funi condivide in quel periodo con i colleghi futuristi lo porta a guardare piuttosto all'esempio di Cézanne, che gli permette di mantenersi fedele alle forme e alle masse, in quello che la critica ha definito "cubofuturismo".
Il 1920 è un anno cruciale per Funi: a gennaio sottoscrive il manifesto Contro tutti i ritorni in pittura, presa di distanza tanto dai trascorsi futuristi quanto dalla riproposizione imitativa dell’antico a favore di una moderna ricostruzione sintetica delle forme. Continua è la ricerca di un nuovo linguaggio pittorico. Il 1923 segna la nascita ufficiale del primo nucleo milanese di “Novecento”, composto da Anselmo Bucci, Leonardo Dudreville, Achille Funi, Piero Marussig, Gian Emilio Malerba, Ubaldo Oppi, Mario Sironi, pittori ispirati da Margherita Sarfatti al recupero di una moderna classicità. Achille Funi è fra tutti il più fedele all'ideale classico, pur confrontandosi con Picasso e Derain. 
Negli anni Trenta Funi si divide tra la necessità di evadere dalla realtà attraverso il mito ("sognatore agnostico" e "cantore di miti" lo descrive l'amico De Chirico) e il recupero di quegli ideali civili che rivivono forti nei venerati modelli delle gloriose civiltà del passato. Ed ecco il Funi pittore murale. Assieme Mario Sironi, Achille Funi ha dato nuovo slancio alla tradizione italiana dell'affresco, tanto da essere considerato uno dei pochi e autentici pittori murali del XX secolo. L'artista non esita a lavorare a stretto contatto con i carpentieri pur di apprenderne i procedimenti tecnici. E per lui il ministro Bottai istituisce a Brera nel 1940 la cattedra di affresco.
Tra i principali cicli murali non si può non citare quello dedicato al Mito di Ferrara, realizzato tra il 1934 e il 1937 nella Sala della Consulta (o Sala dell’Arengo) della Residenza Municipale della città estense, sorta di grandiosa scatola magica dipinta sulle quattro pareti e sul soffitto.
L’artista, coadiuvato da vari assistenti tra cui Felicita Frai, si dimostra degno erede dei grandi maestri dell’Officina ferrarese, illustrando la storia cittadina tra mito e leggenda: sono narrati infatti episodi tratti dalla Gerusalemme liberata e dall’Orlando furioso e alcune delle più famose storie mitologiche legate a Ferrara. Ne scaturiscono composizioni visionarie come San Giorgio che uccide il drago oppure di un lirismo fantastico come La città assediata, Angelo e Il mito di Fetonte. Vigorose e colossali sono le figure di Ercole, Marte, Mercurio, Apollo, ispirate alla statuaria greco-romana.
"L'ultimo pittore classico" lo definisce Vittorio Sgarbi, ideatore della mostra curata da Nicoletta Colombo, Serena Redaelli e Chiara Vorrasi, da scoprire o riscoprire grazie a oltre 130 opere, provenienti da collezioni pubbliche e private, tra dipinti a olio e a tempera, acquerelli, disegni e cartoni preparatori per i grandi affreschi.
E in occasione della mostra sarà eccezionalmente aperta al pubblico anche la Sala dell'Arengo, in orari prestabiliti. Tante le iniziative intorno alla mostra (visite guidate, conferenze, etc.).

Per tutte le informazioni:
Sito web Palazzo dei Diamanti 
orari: tutti i giorni dalle 9.30 alle 19.30. Aperto anche  8, 25 e 26 dicembre, 1 e 6 gennaio. Fino al 25 febbraio 2024.
Sala dell’Arengo visitabile dal lunedì al venerdì (esclusi i festivi), dalle 9.00 alle 10.00 e dalle 14.00 alle 15.00.
Il catalogo della mostra è pubblicato da Silvana Editoriale.

 

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ultima modifica 2023-11-09T12:45:35+02:00
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