giovedì,  4 novembre 2021

L’albero nell’arte contemporanea /2: le Avanguardie (1900-1960)

Secondo capitolo del viaggio in quattro puntate della storica dell'arte Claudia Collina. In occasione della prossima Festa dell'Albero (21 novembre)

L’origine della parola avanguardia è la sintesi di due: avanti guardia, ossia la parte frontale di un esercito che, nel contesto culturale, è quello degli artisti che hanno esplorato ricerche artistiche, musicali, teatrali e cinematografiche talmente innovative da espandersi, come fiumi carsici, per tutto il XX secolo sin dall’inizio e che comunemente si distinguono in Avanguardie storiche, sviluppate tra il 1900 e la Seconda Guerra mondiale, e le Neoavanguardie, nate tra gli anni Sessanta e Settanta. Entrambe nascono in pieno contrasto con l’arte tradizionale e accademica e determinano il definitivo abbandono del concetto di mimesi, imitazione della natura, nell’espressione artistica che, sin dall’antichità, aveva dominato la realizzazione di ogni opera d’arte.

Nel Postimpressionismo erano già evidenti i primi germogli di sperimentazioni che si consolidano nell’ambito delle Avanguardie storiche d’inizio secolo: Paul Cézanne dipinge Il grande pino nel 1892-96 (San Paolo, Museu de Arte). Il paesaggio raffigurato in questa tela è situato nelle vicinanze di Montbrian e la veduta è restituita attraverso una realtà maestosa e sfaccettata dalle pennellate decise e dalla fluida combinazione di toni terragni che rendono l’effetto compositivo omogeneo e solido al contempo, in primo piano e non più soggetto alle regole prospettiche. Come Cézanne è stato guardato come un faro, per la sua modernità, dai futuri cubisti, l’olandese Vincent Van Gogh apriva la strada ai successivi espressionisti traducendo i propri tormenti psichici sulla tela con innovazioni formali e cromatiche, materiche e segniche, tese al massimo dalla sua energia vitale e tragica al contempo. Il suo Albero di gelso del 1889 (California, The Norton Simon Museum of Art) è tra i suoi preferiti: il soggetto è un albero di gelso cresciuto in un ambiente roccioso, il quale era presente nel giardino della casa di cura in cui periodicamente risiedeva. Quest’albero si trova proprio al centro della composizione e domina gran parte della tela; e l’uso dei colori accesi è un forte richiamo all’impressionismo ma anche un grido di dolore di questo straordinario artista che immedesima le sue emozioni nel soggetto arboreo che, come l’essere umano, si fonde tra Terra e cielo.

Il Simbolismo chiudeva l’Ottocento e apriva il Novecento. Corrente di origine letteraria ispirata da Baudelaire, Mallarmé, Rimbaud e Verlain, ebbe diffusione una diffusione europea con implicazioni e svolgimenti diversi in vari settori della cultura, sviluppando in ambito artistico posizioni contrarie al Naturalismo verso una sintesi tra l'espressione dell'idea (ideismo), spiritualità, esoterismo, estetismo estremo e decorativismo che si risolsero, il più delle volte, in espressioni artistiche, sottese di stilemi e suggestioni simboliste,  le cui componenti sfociano in Italia nel Divisionismo e nel Liberty. Il piccolo studio di Pellizza da Volpedo, Idillio. L’albero della vita, (1906 ca. Milano, Galleria d’Arte Moderna) è emblematico: tra terra e cielo gli alberi, come aggraziate colonne spoglie, fanno da sipario alla modernità preponderante del ponte sullo sfondo e della città, organizzati con forme sintetiche, astrattive la realtà e allineate in totale assenza di prospettiva.

A Palazzo Stoclet, una residenza privata a Bruxelles costruita dall’architetto Josef Hoffmann, Gustav Klimt creava tra il 1905-09 un’opera di rara bellezza, composta da tre pannelli: un mosaico di pietre dure, coralli e marmi, l’Albero della Vita in tre opere che si fondono per crearne una unica, che narra la storia dell’esistenza attraverso il significato simbolico dell’albero che è la conoscenza. Al centro dell’opera spicca un albero d’oro con rami che s'intersecano andando a formare figure geometriche somiglianti a nuvole e onde, sul pannello di sinistra una figura femminile con il capo volto a destra è metafora dell’Attesa. L’innaturale posizione della donna e la sua bellezza hanno suggestioni orientali, bizantine, è una danzatrice dal corpo evanescente. Nel pannello di destra è rappresentato l’Abbraccio passionale, ricco di sentimento e trasporto, di una coppia all’apice dell’amore e in totale simbiosi. L’albero della vita figura quindi come congiunzione tra l’attesa e la riconciliazione e la differenza tra i due momenti è marcata anche dalla geometria delle vesti: motivi rigidi, triangolari per l’Attesa mentre l’Abbraccio è contraddistinto dalla concentricità del cerchio che unisce ma, tra la solitudine inquieta e l’abbandono estatico, sui rami dell’albero è appollaiato l’uccello nero, simbolo della morte che, seduta, attende inesorabile. Il tema dell’albero e del bosco è stato dominante per tutta la vita del pittore viennese, simboli di preziosi e variabili stati d’animo trasmessi con segno e colori nel cui abbraccio dei rami si può trovar rifugio.

Sono gli anni in cui il francese George Braque e lo spagnolo Pablo Picasso costruivano l’innovativo linguaggio cubista, liberando definitivamente l’arte dagli aspetti mimetici di rappresentazione del reale e concependo lo spazio, le forme, i volumi, i rapporti cromatici, le linee di forza attraverso la scomposizione dei piani e la conseguente presenza di più punti di vista coesistenti. Si tratta di un linguaggio concettuale che inventa e costruisce nuovamente il mondo fenomenico, da cui parte, una rappresentazione artistica autonoma e radicale. Picasso, ne La Rue-des-Bois del 1908 è ispirato dalle foreste del piccolo villaggio francese chiamato La Rue-des-Bois, a nord di Parigi, e dall’arte di Cézanne, sia per la costruzione formale, sia per gli accordi cromatici. La ricerca della spazialità dell'immagine condurrà Picasso ai geometrici e sfaccettati paesaggi eseguiti nell'estate del 1908 a La Rue-des-Bois, momento in cui inizia, con Braque, quel sodalizio che verrà definito la "Fondazione del Cubismo".

Quasi simultaneamente, nel 1905, comparvero a Parigi le prime opere di Henri Matisse e altri Fauves (belve), appellativo riferito all’impeto feroce con cui colori e forme nelle loro opere venivano distorti rispetto alla realtà, perché erano usati per rispecchiare le emozioni dell’artista. Una ramificazione dell’esteso Espressionismo europeo fondata sulla più totale libertà espressiva del pittore ove il colore è protagonista assoluto di ammaliante purezza, vivacità ed eccessi di libertà compositiva.

Nel 1912, recatosi in Marocco, Matisse si lasciava sedurre dalla luce e dalla vegetazione mediterranea e creava il Trittico del giardino marocchino, destinata al suo committente il magnate russo Morosov. Qui le forme de Gli acanti, Le pervinche e La palma, sono affini alle precedenti de La Gioia di vivere (1905) ove il colore sgargiante è steso in campiture larghe, piatte e gradazioni di toni figliati direttamente dalle opere di Paul Gauguin come Grande albero e Paesaggio con alberi blu (1891-92, Copenaghen, Ordrupgaard Museum). Si tratta di artisti che innovano con potenza la ricerca espressiva europea e che si riflettono nelle opere espressioniste di numerosi artisti, tra cui l’emiliano Severo Pozzati in Paesaggio con alberi e Albero viola e casa bianca (1914 e 1915, Firenze, Museo Novecento), il primo tradotto in serigrafia dallo stesso e conservato nella Pinacoteca Civica di Pieve di Cento.

Contemporaneamente in Italia, con grande risonanza internazionale, si sviluppava il Futurismo: movimento d’avanguardia, artistico e letterario, nato in aperta polemica con il passato e a favore di un totale rinnovamento estetico fondato sul progresso e la tecnologia meccanica. La tecnica della pittura divisionista era riconosciuta come la più adatta a tradurre la visione dell’energia dinamica e plastica della modernità, di cui Umberto Boccioni fu massimo esponente teorico e pratico; e su cui Giacomo Balla innestò, con originalità nel dipinto Alberi mutilati (1918, Collezione privata) la scomposizione di piani cubo futurista alla Kazimir Malevič, importata dalla Russia da Filippo Tommaso Marinetti nel 1909.

Dopo i primi esordi in ambito Espressionista tedesco, Vasilij Kandinskij nel 1910 produceva il suo primo acquerello astratto, dove coesiste la predominanza di due colori, il rosso e l'azzurro, e le linee nere che, come asticelle stilizzate, evocano il ricordo essenziale di file di alberi.  Le sue opere astratte hanno un profondo legame con la musica e potrebbero essere raggruppate in tre insiemi: "impressioni", "improvvisazioni" e "composizioni". Le impressioni sono i dipinti nei quali resta ancora visibile la reminiscenza della natura esteriore; le improvvisazioni nascono improvvisamente dall’intimo e inconsciamente; e le composizioni sono costruite razionalmente e definite attraverso serie di studi. Paesaggio con colline ondeggianti, 1910 (Venezia, Fondazione Peggy Guggenheim) appartiene al primo insieme anche se il colore e la linea hanno assunto tanta autonomia espressiva da essere considerate le prime realmente astratte; e che mostrano la stretta relazione tra la sua pittura e la dimensione spirituale in cui linea e colore fondono le impressioni del cosmo interiore a quelle dell’esteriore.

La ricerca dell’olandese Piet Mondrian s’incentrava sul raggiungimento dell’essenza formale del soggetto prescelto per la sua pittura, verso una progressiva purificazione di ogni accenno naturalistico, che rimane solo nei titoli, per un’astrazione formale sempre più elementare. In seguito alla fondazione della rivista “De Stijl” e dello stile Neoplasticismo con Theo Van Doesburg nel 1917, egli perseguì l’essenza della forma con l’astrattismo, in particolare l’approfondimento del rapporto tra uomo e universo attraverso l’equilibrio dell’elementarità, la purezza, dei segni e dei colori dell’opera d’arte. Ed è proprio il tema dell’albero a essere indagato ossessivamente innumerevoli volte da Mondrian, a personificare la sua ricerca verso l’Astrattismo dissolvendo la forma cui sostituisce un oggetto ridotto sempre più all’essenziale, evidente nei passaggi da L’albero blu a L’albero rosso (1908, L’Aia, Gemeentemuseum Den Haag) sino a Melo in fiore, (1912, L’Aia, Gemeentemuseum Den Haag).

Sono anni in cui lo stesso Marcel Duchamp, padre del Concettuale e del Dadaismo, antinaturalistica per eccellenza, dipinge con espressione in equilibrio tra il cubismo e simbolismo che esplora attraverso la mitologia dell’origine e l’identificazione con la natura in Giovane uomo e giovane fanciulla in primavera in una sorta di allegoria di Adamo ed Eva che assaporano l'Albero della Conoscenza.

Gli anni compresi tra le due Guerre Mondiali furono teatro del ritorno a valori culturali della tradizione, quasi fosse necessario radicarsi a certezze solide anche dal punto di vista intellettuale, per cui un’ondata di “ritorno all’ordine” della figurazione invase l’arte europea; anche se non mancarono novità avanguardistiche anche nell’ambito della figurazione, come la Metafisica e il Surrealismo.

Il termine “metafisica” era coniato dal suo fondatore Giorgio de Chirico nel secondo decennio del Novecento a Parigi e codificato da Carlo Carrà nel 1919 nel suo libro La pittura metafisica, tra i cui precetti vi era il ritorno alla tradizione rinascimentale, alla purezza formale della geometria solida che traduca visivamente anche territori inesplorati della mente, enigmatici e onirici che precorreranno le ricerche dei Surrealisti.

In conformità a questi valori, Carlo Carrà dipingeva nel 1921 Pino sul mare, con suggestioni plastiche derivate da Giotto e Masaccio; mentre de Chirico, con una poetica più intellettuale, proietta l’albero nella sua stanza in Ma chambre dans le Midi (1927-28, Roma, Fondazione Giorgio e Isa de Chirico), facente parte della serie di dipinti in cui i mobili diventano simboli nella natura o, viceversa, elementi che occupano, emblematicamente, lo spazio della casa con l’intento di creare un effetto di spaesamento della realtà familiare, quotidiana con una realtà più vera, mentale, quella dell’enigma. È una ricerca assai vicina alla poetica surrealista di René Magritte, che nel 1933 dipingeva La condizione umana (Washington, National Gallery of Art) ove l’albero è assurto a metafora dell’illusione che permea l’umanità nella percezione del mondo e della simultaneità del tempo.

Il movimento letterario e artistico surrealista è stato fondato a metà degli anni Venti a Parigi da André Breton ma ebbe ramificazione in tutt’Europa e oltreoceano, quando artisti come André Masson si trasferirono in esilio per fuggire dal nazismo. Corteggiando la psicanalisi, il Surrealismo tendeva all’espressione verbale, scritta, visuale, plastica del reale funzionamento del pensiero, al di fuori del controllo della ragione e senza preoccupazioni morali, fondandosi sulla libera associazione dei pensieri e sulla potenza ludica dei sogni. Tra i maggiori autori vi furono, oltre Magritte e Masson, Paul Delvaux, Man Ray, Yves Tanguy, Jean Arp, Henry Moore, Salvator Dalì e Joan Mirò che realizzava Terra arata (1923-1924, New York, Solomon R. Guggenheim Museum) coniugando monumentali elementi astratti e reali con un risultato enigmatico e sacrale che promana dal ciclo della vita, dal rito della quotidianità agreste superata dalla visione dell’albero esoterico che, con il terzo occhio aperto, percepisce realtà invisibili; o Max Ernst che con Albero solitario con alberi coniugali, 1940 (Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza), personifica le piante e inscena una situazione enigmatica; o, infine, Graham Sutherland, che in Thorn Tree, 1946 (Londra, British Council Collection) riflette la tenace metamorfosi della realtà percepita negli aspetti più nascosti e ispidi della natura, come radici, spine e insetti, e filtrata dall’immaginario dell’artista.

Inoltre, vi sono artisti che, nonostante abbiano contatti con esponenti di una corrente, o siano a conoscenza delle ricerche coeve a loro, sviluppavano linguaggi autonomi e originali, come nel caso di Paul Klee, Giorgio Morandi e Mario Pozzati.

Il pittore svizzero fondava il suo lavoro sull’equilibrato rigore di teoria e prassi, disegno e colore, che istituisce un territorio poetico, magico, fiabesco, fatto di forme fantastiche semplici e complesse al contempo. La sua arte aveva anche connotazioni antropologiche, basate sulla convinzione che l’artista, attraverso il suo potere creativo, possa evocare quei principi generativi e spirituali che, secondo gli animisti, sono presenti in tutta la realtà materiale; idea che si può scorgere in filigrana anche in Feigenbaum / Fico, 1929 (Milano, Collezione privata) o in Frutta sul rosso (1930, Monaco di Baviera, Museo Städtische Galerie im Lenzachhaus); e la conferma è nei suoi Diari, in cui scrive che persino nella più piccola foglia è possibile scorgere «la manifestazione dell’unica legge che regola il tutto e trarne vantaggio» (Paul Klee, Diari, n. 536).

Giorgio Morandi, a prima vista, può apparire fuori da ogni avanguardia ma la sua arte senza tempo dimostra bene l’informazione sulle coeve correnti europee e che si sono susseguite parallele all’arco della sua lunga vita:  egli ha sempre intrattenuto un dialogo serrato con i pittori del passato" dando vita a un'arte moderna e autentica, fondata sull'istinto e le proprie forze nel privilegio costante della spazialità ottenuta con la distribuzione di volumi regolari illuminati da luce diffusa desunti da Piero della Francesca, la semplificazione geometrica delle forme ispirata da Cézanne, come risulta evidente nel Paesaggio (1963, Bologna, MAMbo, Museo d’Arte Moderna della Città di Bologna) dove la centralità monovolume della macchia arborea conquista la maggior parte del poetico paesaggio; e così anche per il coevo Mario Pozzati che, con pochi segni scarni ma potenti come un ideogramma, traccia nel 1939 un inverno pieno di poesia (Modena, Galleria Civica, Fondazione arti visive).

Negli stessi anni, da un ramo del Surrealismo portato dagli artisti sfollati negli Stati Uniti dall’Europa per sfuggire alla Seconda Guerra, nasceva l’Espressionismo astratto che dava origine alla corrente Informale europea, tesa a infrangere totalmente ogni schema figurativo precedente e a esprimersi con gestualità impulsiva e irrazionale, obbediente alle pulsioni profonde dell’essere e tradotta in segni e materia cromatica informe che, dall’ Europa all’America sino in Giappone, rifiutava qualsiasi forma, figurativa o astratta, composta secondo i canoni della tradizione. In questa fase, è quindi difficile trovare forme mimetiche e naturalistiche nell’arte se non nel movimento teorizzato da Francesco Arcangeli, l’Ultimo naturalismo. Solo in questo movimento l’idea di paesaggio e di natura si pone quale elemento fondante espressivo, diventando la membrana lacerata tra oggetto e soggetto, tra il tutto e l’Io, lacerto che collega la pittura di paesaggio alle istanze informali con linguaggi profondamente nuovi. E proprio in Emilia Romagna troviamo i maggiori esponenti, come la pittura organico-naturalista di Mattia Moreni nel Giardino di mimose (1954, MAMbo, Museo d’Arte Moderna della Città di Bologna) e quella decomponente, scompositiva e plumbea di Pompilio Mandelli nel Paesaggio informale (1955, Bologna Città Metropolitana) a cui si aggiungono le prove di Sergio Vacchi, Vasco Bendini.  E Bruno Pulga, nel suo Paesaggio (1963, Assemblea Legislativa della regione Emilia-Romagna), ed Ennio Morlotti, Paesaggio monocromo (1962, Riccione, Galleria d’arte moderna e contemporanea Villa Franceschi) volgono lo sguardo verso una rarefazione e astrazione percettiva della natura, già in sintonia con le correnti astrattive e minimaliste del Concettuale.

(2- continua)

La prima puntata: L’albero nell’arte contemporanea /1: l'Ottocento

 

 

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ultima modifica 2021-11-04T18:38:29+02:00
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