giovedì,  28 ottobre 2021

L’albero nell’arte contemporanea /1: l'Ottocento

In occasione della prossima Festa dell'Albero (21 novembre), la storica dell'arte Claudia Collina ci guida in un viaggio in quattro puntate che parte dal XIX secolo

L’Ottocento

di Claudia Collina

L’albero è un microcosmo vivente che presenta particolari similitudini con l’essere umano, esso assimila il nutrimento dalla terra ed è simbolo alchemico di creatività che, come araba fenice, trae humus vitale dalla sua stessa decomposizione. L’albero cresce da un piccolo seme che racchiude tutte le potenzialità dell’origine, come un’idea, un pensiero; esso è metafora delle sfere psichiche della creatività, dell’iniziazione e il suo significato trascende lo spazio e il tempo. Per gli alchimisti esso rappresenta il compimento dell’opus (opera) ed è il simbolo dei cicli della vita interiore, tra essicazioni e ricrescite, e della corrispondenza reciproca tra l’uomo e la natura nella nascita, nella morte, nella rigenerazione e nell’energia vitale.

Dall’antichità al presente molti grandi artisti hanno prediletto l’albero come soggetto, sia per i suoi significati, sia per la sua bellezza, sia per la facilità a essere reso in pittura e astratto dalla realtà; anche se le più recenti teorie delle moderne neuroscienze affermano che, invece di possedere un’immagine, il cervello avrebbe un’ipotesi su un albero e su altri oggetti del mondo esterno che riflettono l’esperienza cosciente del vedere; e coincide con il concetto di “figure interiori” che, da Platone al presente, sottendono l’espressione artistica, in particolare quella “figurazione creativa che congiunge arte e natura, e che identifica l’artista con la materia in cui va operando” (Settis, 2020).

La periodizzazione dell’arte contemporanea è divisa da diverse teorie, ma nell’accezione più corretta essa segue le epoche storiche e, tradizionalmente, si fa coincidere il suo inizio con il Congresso di Vienna del 1815, in piena età romantica. Il termine deriva dall’inglese romantic, aggettivo usato per definire il giardino ‘all’inglese’, creato con soluzioni irregolari, libere e di gusto pittoresco, la cui provenienza etimologica è romance, romanzo fantastico, irregolare e carico di sentimenti; e proprio all’inizio del XIX secolo la poetica del Romanticismo acquista sfumature sempre più complesse, designando un movimento culturale vasto ed europeo che si oppone e supera il Neoclassicismo. Gli artisti romantici, poeti come Novalis e Giacomo Leopardi, pittori come Caspar David Friedrich e Joseph Mallord William Turner, tendono nella loro ricerca all’unione ‘mistica’ con la natura che sani, attraverso l’accentuazione dei sentimenti e della soggettività, il conflitto tra idealità e realtà in un tutt’uno cosmico spirituale.

Friedrich dipinge L'albero dei corvi (Parigi, Museo del Louvre) nel 1822 ove è protagonista un albero antropizzato e spoglio, battuto dal forte vento percepibile dalla resa atmosferica e circolare della pittura innestata in una costruzione prospettica ancora tradizionale; in questo caso l’albero raggiunto dai corvi all’alba ha la medesima valenza simbolica del Viandante sul mare di nebbia (1818, Amburgo, Kunsthalle), o dell’ “infinito silenzio” sentito da Giacomo Leopardi, in cui l’uomo trova ad occupare la posizione intermedia tra l’infinitamente grande e l'infinitamente piccolo, tra la Terra e il Cielo. Turner è più sbilanciato in una pittura ove gli elementi atmosferici e la luce determinano lo stato della natura, sempre protagonista, come riflesso emozionale, nel Paesaggio con lago e albero caduto del 1800 (Londra, National Gallery) in cui lo scheletro dell’albero s’inarca come carcassa di capriolo ferito nella circolarità atmosferica a sfumature ocra di una notte dopo la tempesta; e la sua ricerca estetica, incentrata sul sublime in senso kantiano, si contrappone a quella del coevo conterraneo John Constable che, con estetica pittoresca, declina il Romanticismo con linguaggio verista ancora intriso di senso del bello, all’epoca in voga in Francia, come nel famoso Il carro da fieno  (The Hay Wain) del 1821 (Londra National Gallery).

Quando quest’opera venne esposta con altri lavori di Constable al Salon di Parigi nel 1824, fece molto scalpore e ottenne la medaglia d'oro da Carlo X di Francia, poi incorporata nella cornice del dipinto. Constable eseguiva schizzi all'aperto combinati nell'opera finita nel suo studio, con il risultato di una realtà idealizzata, anche se aderente al vero. I dipinti di Constable all'esibizione suddetta ispirarono una nuova generazione di pittori francesi, tra cui Jean-Baptiste Camille Corot.  Egli è uno degli artisti più importanti e non è inquadrabile in una sola corrente, perché nella sua opera omnia si sommano sfumature poetiche di Romanticismo, Verismo, Realismo e Simbolismo al contempo, come ne La radura, ricordo di Ville d’Avray del 1872 (Parigi, Musée d’Orsay), in cui si percepiscono “un silenzio, un mistero, una pace come solo Corot li ha dipinti” (Van Gogh, 1883).

Negli stessi anni in Italia, il reggiano Antonio Fontanesi dipingeva con un’evidente componente lirica ove si riscontra un’attenta osservazione della natura unita a una suggestiva luminosità diffusa, ispirata dalla francese Scuola di Barbizon e dalla pittura di Corot, come in Luce sugli alberi (1868 – 1880, Piacenza, Galleria Ricci Oddi) o nel meno conosciuto, ma sentimentale, Tramonto (Parma, Museo Glauco Lombardi). Il tema della Solitudine (1875, Reggio Emilia, Musei Civici) è un soggetto caro e frequente nella poetica dell’artista: nei suoi dipinti tardo romantici, egli interpreta la vita dei sentimenti, l’interiorità dell’individuo a contatto diretto con la natura dei boschi, la finitezza dell'uomo e infinità della natura, la solitudine individuale in comunione con l'universo, proprio come fece Friedrich in Germania all’inizio dell’Ottocento.

Contemporaneamente, sempre in Francia, si sviluppava la corrente poetica, artistica e letteraria, del Realismo che aveva in Gustav Courbet e Honoré de Balzac i principali esponenti. Nella fase storica concomitante alle teorie scientifiche evoluzioniste di Darwin, Courbet dipingeva con un rapporto diretto e sincero la realtà percepita, con immediatezza e concretezza della materia, la cui verità si poneva in antitesi al classicismo degli accademici e alla spiritualità dei romantici. Esempio principe è La quercia di Flagey del 1863 (Ornans, Museo Courbet). È un dipinto di grande forza: l’albero occupa, con la sua chioma tutto lo spazio della tela e i rami, pieni di foglie, sconfinano quasi oltre i bordi della cornice. È stato interpretato come una sorta di autoritratto dell’artista, metafora della sua parte più profonda dipinta con una precisione amorevole che testimonia il radicamento di Courbet alla sua terra, al paese natale e alla sua storia; un’opera fatta per quella luce e per quell’atmosfera, in sincronia con i rivoluzionari Impressionisti che, con la loro pittura en plain air, mutarono la visione del mondo nell’ultimo quarto del XIX secolo.

L’Impressionismo è stato un movimento pittorico mirato a catturare e restituire i fenomeni atmosferici e naturalistici mediante tocchi e macchie di colori giustapposti, che avrà una fortuna dilagante in Europa e tra i suoi più importanti esponenti Claude Monet che, realizzando Donne in giardino nel 1867 (Parigi, Musée d'Orsay), elimina la plasticità delle cose fissando sulla tela solo l'immediatezza dell’immagine al primo apparire alla coscienza. Egli lavora solo sui piani e i colori, con un risultato di mosaico pittorico che accentua la vibrazione frenetica del gioco fanciullesco intorno alla pianta, moderno e borghese albero della libertà.

Il riflesso di tale ricerche in Italia si esprime nel movimento toscano dei Macchiaioli che, ispirati ancora dal  verismo oggettivo, dal 1855 al 1867 circa, riprodurranno le sensazioni della luce attraverso le ‘macchie’ campendo le tele con pennellate piatte e materiche di colori graduati cosicché le opere appaiano strutturate anche se immerse nell’atmosfera degli elementi: ne è un esempio Tempesta (1880-1885 ca.) di Giovanni Fattori conservato nella Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti, a Firenze, in cui l’albero flessibile piegato dal libeccio esprime grande forza e resilienza, protagonista assoluto nella natura impetuosa e ultimo epigono de L'albero dei corvi di Friedrich; e l’imponente maestosità fusa nella luce del Quercione alle cascine (1862-67) di Telemaco Signorini.

La ricerca incessante e seriale di Monet sulle Ninfee e la possibilità di dipingere le impressioni della luce sulla realtà fenomenica a tutte le ore - come i due salici riflessi nell'acqua, uno specchio ondeggiante e cangiante che respira nella Mattinata limpida con salici (1914-1926, Parigi Museo dell'Orangerie) - sino a trasformarla nei contorni per giungerne alla vivida essenza, mira a fermare ogni attimo della vita che fugge; e dà origine a nuove costruzioni spaziali e astrattive che anticipano profeticamente la poetica Informale della metà del XX secolo e nuovi modi di concepire lo spazio, la sua costruzione e le funzioni cromatiche, che, in compenetrazione con le innovazioni delle Avanguardie storiche europee, intellettualizzano sempre di più le forme espressive e l’identificazione tra l’uomo e l’albero.

(1-Continua)

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ultima modifica 2021-10-28T14:16:46+02:00
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