Cesena (FC) | Splendori del “Pictor Virginum”
La valorizzazione delle collezioni d’arte della Pinacoteca comunale di Cesena parte dalla cura conservativa e punta a un nucleo di opere di particolare pregio, oltre che di radicata pertinenza con la storia della città e del territorio. Si tratta di cinque dipinti su tela di Giovanni Battista Salvi, detto il Sassoferrato (Sassoferrato, 1609 – Roma, 1685), di diversa provenienza ma di comune tipologia devozionale.
Il programma conservativo si inserisce nel quadro delle progettazioni previste dal Piano Museale 2020 (LR 18/2000) e promosse d’intesa fra il Comune di Cesena e il Settore Patrimonio Culturale della Regione Emilia-Romagna, sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini.
Ogni restauro, si sa, è un’occasione irripetibile di studio per contenuti scientifici così come per l’incomparabile esperienza della materia che ci conduce “dentro” l’opera facendoci partecipi delle dinamiche profonde dell’oggetto d’arte attraverso l’esperienza sensoriale. Ed è anche per questo che ogni volta che ci sono le condizioni si promuovono interventi di restauro a porte aperte, così che il percorso, di per sé irreversibile, oltre a beneficiare di condizioni di più ampia garanzia per la riduzione del rischio, meccanico e ambientale, possa godere di quanti più testimoni.
L’intervento, affidato alle cure del laboratorio di restauro di Maria Letizia Antoniacci, è stato condotto a cantiere aperto e, benché in larga parte oscurato dalla emergenza sanitaria che ha determinato la chiusura dei musei, ha potuto godere di una prima occasione di presentazione, promossa dalla Soprintendenza nel corso delle Giornate Europee del Patrimonio (26 e 27 settembre 2020).
Delle cinque tele le due più piccole, tradizionalmente identificate con l’Annunciata e l’Annunciante, sono un dono di Modesto Vendemini all’Abbazia di Santa Maria del Monte di Cesena in occasione della sua seconda elezione ad abate nel 1686, mentre per le altre tre – l’Addolorata, la Madonna in preghiera, la Madonna con il Bambino – è stata avanzata l’ipotesi di una provenienza da Palazzo Chiaramonti.
Sia come sia, i dipinti appartengono a una stagione matura del Sassoferrato, conosciuto come “Pictor Virginis” per la predilezione del tema mariano, quando cioè il percorso formativo, prima sotto la guida del padre e dal 1648 a Roma con Domenichino, si perfeziona in quella sintesi purista che salda l’eredità di Perugino e Raffaello alla lezione classicista della scuola bolognese dei Carracci e di Guido Reni, fino a Guercino. Negli esiti più riusciti, è questo il caso, la purezza formale si coniuga con quella speciale attitudine alla soavità umbro-marchigiana che rende coinvolgenti le composizioni nell’intento di muovere gli affetti sulla leva dell’ideale classico. La disponibilità di tanti dipinti dello stesso autore, grazie alla combinatoria degli eventi, offre un’opportunità irripetibile per affrontare l’intervento sulla base di analisi comparate.
Solo recuperando la quota “parlante” i dipinti possono aspirare a quella luce inconfondibile, sapientemente costruita su equilibri ponderati di azzurri siderali e carni ambrate, ora imprigionata dallo strato di polveri. Ecco dunque che appare decisivo il percorso di pulitura suffragato dal conforto della diagnostica con riprese UV per pilotarne le operazioni con saggi progressivi per non pregiudicare la finezza pittorica delle velature.
Restituire luce al dipinto significa anche farsi carico della cura degli apparati che lo definiscono, ad inclusione della cornice che dell’opera è un precursore. Il ripristino degli ornati lignei a intaglio, che necessitano di pulitura e di integrazione dell’unità decorativa, ora pregiudicata da lacune, è parte di un percorso che intende restituire compiutamente i dipinti alla dignità di capolavoro.