Rimini (RN) | Il Trecento riminese come non lo avete mai visto
Una visione, prima che un programma di restauro. Restituire alla città di oggi lo spaccato della Forma Urbis è l’ambizioso programma su cui sta investendo il Comune di Rimini – Assessorato alla Cultura per la messa in valore della stagione che ha visto, all’alba del Trecento e per una manciata di decenni, il fiorire di una scuola pittorica altissima e di influenza adriatica.
Concorrono al progetto la Diocesi di Rimini, con l’accordo per il Giudizio di Giovanni da Rimini, e la Regione Emilia-Romagna – Servizio Patrimonio Culturale, già IBC, nell’ambito dei Piani 2020 – L.R. 18/2000, insieme alla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Ravenna Forlì-Cesena e Rimini per l’alta sorveglianza.
ll progetto espositivo si concentra sulle testimonianze conservate al Museo della città di Rimini, a cui si aggiunge l’imponente Giudizio proveniente dalla chiesa degli Eremitani di Sant’Agostino. Ma è alla ricomposizione di un contesto tuttora diffuso che il progetto guarda chiamando in causa i complessi monumentali collegati grazie al supporto delle tecnologie interattive e immersive.
Sotto la protezione dei Malatesta la città vive una stagione di straordinaria effervescenza culturale aumentata dall’arrivo di Giotto che lascerà un’impronta indelebile nei suoi seguaci. Per connettere le opere a quel formidabile contesto, il Museo ha avviato un accurato intervento conservativo così che anche le fasi successive del progetto, dalla manipolazione alla corretta esposizione nei nuovi allestimenti, siano affrontate in condizioni ottimali.
Sotto la lente troviamo un nucleo composito di testimonianze sulle quali svettano il Crocifisso, attribuito a Giovanni da Rimini (Rimini, notizie 1296-1309), insieme alle due tavolette, riconosciute a Serafino de’ Serafini (Modena, 1324 – Ferrara, 1393), con gli apostoli Giacomo e Andrea, Taddeo e Bartolomeo. Ci sono poi i reperti lapidei di natura per lo più erratica: una Madonna del Latte a tutto tondo di scuola lombarda, un puteale con insegne di famiglia Rigazzi, una pietra di volta con Cristo in pietà, una curiosa lastra con dischi a rilievo negativo che vanta rari confronti, e poi stemmi, capitelli, ornati. L’intervento, che per complessità richiede setting operativi distinti e diverse specialità, è stato affidato alle cure del Laboratorio degli Angeli di Bologna, che opera in contesti monumentali su cicli decorativi e strutture architettoniche.
Rientra nel progetto lo spostamento eccezionale del Giudizio a Palazzo dell’Arengo per consentire il cantiere di riallestimento in Museo dove farà rientro a lavori ultimati. Per l’affresco, venuto allo scoperto con il terremoto del 1916, si tratta di un ritorno, un'occasione quanto mai speciale per un’inquadratura su Sant’Agostino.
Note
La Scuola riminese si sviluppò a Rimini, all’alba del Trecento, in concomitanza con l’arrivo di Giotto e si esaurì alla metà del secolo, stroncata dall’ondata di Peste Nera del 1348 di provenienza asiatica. Nell’ambito della scuola furono attivi pittori, frescanti e miniatori. I loro nomi sono quelli di Neri, Giovanni, Giuliano, Zangolo [Giovanni Angelo], Francesco, Pietro, Giovanni Baronzio, tutti maestri “da Rimini” al servizio per lo più dei nuovi ordini mendicanti ma anche di famiglie monastiche già consolidate come Agostiniani, Domenicani e Benedettini.
Il processo di ordinamento degli allestimenti pone questioni non soltanto di ordine conservativo ma più estesamente rivolte a un rapporto perfettamente solidale tra conservazione e presentazione, così che la restituzione sia quanto più rispettosa dell’originale alla luce di uno scrutinio critico che sappia discernere le interazioni e le interferenze che nel tempo hanno fatto dell’opera un vero e proprio palinsesto. E se ogni intervento conservativo è anche un momento di studio, l’aggiunta del riallestimento ne aumenta il margine investigativo per l’importanza aumentata del supporto in funzione del sistema di presentazione e di ancoraggio.
In questo caso il progetto punta ad affrontare le criticità che una manutenzione ordinaria, sia pur trentennale, non permette di risolvere. In vista di un nuovo allestimento, il protocollo di intervento è preceduto dalla rilevazione sistematica delle condizioni conservative di quanto è stato selezionato per il nuovo ordinamento per accertare anche quei fattori ambientali che hanno influito su tutte le opere con condizionamenti diffusi e trasversali. Solo un accurato esame preliminare delle condizioni permette di acquisire le informazioni necessarie alla programmazione degli interventi per armonizzarli secondo livelli uniformi di presentazione.
Le problematiche emerse sono riconducibili, in prima istanza, alle caratteristiche tipologiche dei beni. Per i dipinti su tavola ricorrenti sono i sollevamenti di materia e le fessurazioni a cui si aggiungono tracce di insetti xilofagi potenzialmente ancora attivi. I materiali lapidei accusano appesantimenti da precedenti incollaggi e stuccature, ora da rimuovere e risarcire, insieme a percolazioni e lacune che richiedono, in un caso bonifica, nell’altro la rimozione di incrostazioni e depositi di cui le lacune sono diventate ricettacoli.
Si tratta di interventi di manutenzione straordinaria dai quali non ci si attendono novità clamorose, né sotto il profilo conoscitivo né sotto quello estetico, e tuttavia sono essenziali per superare i punti di fragilità e rimuovere quelle aggiunte incoerenti che si frappongono tra la nostra esperienza visiva e la sostanza stessa del bene nella sua condizione di viaggiatore nel tempo.
Quando l’intervento conservativo si incardina nello studio scientifico per un nuovo ordinamento, ecco allora che anche il trattamento è sostenuto e guidato dalla ricerca scientifica alla quale spetta il compito di ricomporre le disjecta membra per immettere il bene nell’alveo degli aggiornamenti storici e storiografici. L’intervento conservativo vive allora nella sua forma più potente, e quanto mai necessaria.
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