venerdì,  23 febbraio 2024

Preraffaelliti, il Rinascimento moderno

Ai Musei San Domenico di Forlì una mostra con oltre 300 opere racconta del forte impatto dell'arte italiana, dal Medioevo al Rinascimento, sulla cultura visiva britannica tra il 1840 e il 1920. Fino al 30 giugno 2024

Diciamolo pure: mentre la letteratura della patria di Shakespeare era celebrata ovunque e da tempo, le arti visive non erano mai state un punto di forza di quel popolo. Poi arriva l'Ottocento con il regno della Regina Vittoria, che si apre nel 1837, e le cose cambiano. Grazie a una rivolta, quella "Preraffaellita". Siamo nell'autunno del 1848: i moti di quell'anno in Europa coincidono in Inghilterra con l'avvio del movimento cartista per i diritti politici dei lavoratori e una diffusa simpatia per il nostro Risorgimento. In questo contesto si muove un gruppo di 7 giovani, età tra i 19 e i 23 anni, che decide di fondare una "confraternita" inizialmente chiamata dei "Cristiani Primitivi", ma che subito diventa dei "Preraffaelliti", per testimoniare l'entusiasmo degli artisti più giovani per l'arte italiana prima di Raffello, "espressione di sincera e spontanea grazia", da contrapporsi non tanto all'arte di Raffaello, mai messa in discussione, ma a quella dei suoi epigoni, irrigidita in un ripetitivo formalismo accademico. Una frecciata in particolare contro la Royal Academy of Arts britannica, influenzata dai dettami del suo primo presidente, sir Joshua Reynolds, uno dei più importanti e influenti pittori del XVIII secolo in Gran Bretagna, che vedeva in Raffaello l'unico mirabile modello da seguire. L'amore per l'Italia, quella prerinascimentale, è forte nel gruppo: ne fa parte Dante Gabriel Rossetti, giovane di grande fascino figlio di Gabriele, esule politico italiano, in quanto antiborbonico, e grande studioso di Dante, in particolare della Vita Nova, e dei poeti stilnovisti. A casa dei Rossetti, raccontano le cronache, si mangiavano "maccaroni" e si discuteva di arte, politica e poesia intorno al camino.

I giovani Preraffaelliti possono ammirare l'arte italiana di quel periodo, il "Quattrocento" (e lo dicevano in lingua italiana), anche grazie alle nuove acquisizioni della National Gallery, che intorno al 1857 compra sul mercato antiquario le opere dei "primitivi" più famosi, come Beato Angelico, Cimabue, Giotto, e altri, grazie a sir Charles Eastlake, nominato direttore nel 1855. In concomitanza si fonda il South Kensington Museum (il futuro "Victoria & Albert Museum), le cui collezioni di arte applicata guardano con interesse crescente alle arti decorative italiane del passato, compresa la scultura. 

Negli anni sessanta dell'Ottocento si fa strada la seconda generazione dei Preraffaelliti, quella che al termine "Arte italiana del Quattrocento" preferisce la parola francese "Renaissance" per indicare l'arte prima di Raffaello. Ecco che si fa strada il "Moderno Rinascimento", quello dei coltissimi Edward Burne-Jones e William Morris, ad esempio. Nel 1882 Oscar Wilde, durante una conferenza nell'America del Nord, si dice convinto che quello in atto nelle arti visive britanniche sia un autentico "Rinascimento": "Lo chiamo Rinascimento inglese - afferma -  perché è indubbiamente una sorta di rinascita dello spirito dell'uomo, analoga al grande Rinascimento italiano del Quattrocento". 
Una "rinascita" che riuscì a influenzare non solo gli artisti britannici fino agli anni Venti del Novecento, ma persino gli artisti italiani di quel periodo.

Tutto questo è raccontato nella mostra "infinita" (così la definisce il direttore della mostra, Gianfranco Brunelli) in corso fino al 30 giugno 2024 ai Musei San Domenico di Forlì. Non solo perché ospita ben 320 opere provenienti da tutto il mondo - tra dipinti, sculture, disegni, stampe, fotografie, mobili, ceramiche, opere in vetro e metallo, tessuti, medaglie, libri illustrati, manoscritti e gioielli - ma perché si apre al confronto con decine di capolavori italiani dei grandi maestri, da Cimabue a Botticelli (e splendida è la collocazione della Pallade e Centauro del Botticelli proveniente dagli Uffizi, come fosse sopra a un altare nella Chiesa di San Giacomo, dove si apre il percorso espositivo), da Michelangelo a Guido Reni, per citarne solo alcuni. 
La mostra, suddivisa in ben 16 sezioni, è curata da Elizabeth Prettejohn, Peter Trippi, Francesco Parisi e Cristina Acidini con la consulenza di Tim Barringer, Stephen Calloway, Charlotte Gere, Véronique Gerard Powell e Paola Refice. Il bel catalogo, oserei dire "definitivo", è di Dario Cimorelli Editore.

Per tutte le informazioni per organizzare la visita:
https://mostremuseisandomenico.it/

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ultima modifica 2024-02-29T15:31:28+02:00
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